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Ornella, raccontata da una femminista

E’ una lunga lettera a Ornie che Sgrunt scrive senza risparmiare nulla. Tra narrazione, critiche e autocritiche, è uno splendido racconto che parla di due femministe, una biologicamente donna e l’altra "neodonna". Ne rubiamo alcuni stralci perchè contengono una lezione per tutte noi!

Grazie Ornella. Grazie Sgrunt perchè ce la ricordi sempre. 

Per leggere interamente la narrazione (altamente consigliato) potete andare QUI

>>>^^^<<<

Ornella era nata nell’entroterra calabrese e fin da piccola ha subito
l’arroganza e la violenza che può agire la cultura di quella terra e
una famiglia che voleva farla schiava come ognuno di noi, ma Ornella
non era domabile, Ornella da sempre ha avuto il coraggio di una
leonessa…

[…]

Ornella quando è nata si chiamava Mario e lo rivendicava subito, appena
ti conosceva, poi le si illuminava lo sguardo e ti diceva che lei era
una neo-donna e tu invece “solo una stupida donna biologica”! Ornella
si chiamava Mario e per potersi chiamare Ornella aveva dovuto subire
ore di tribunali e psicologi, ma raccontava orgogliosa come la causa si
era conclusa con un mazzo di rose inviatole a casa da chi, ascoltandola
durante la sua arringa, era rimasto colpito dalla sua lucidità, dalla
sua determinazione, dal suo Essere. Ornella era un avvocato e provò a
difendersi da sola, metafora atroce della sua vita.

[…]

La prima volta che ho incontrato Ornella eravamo in una casa con vista
paradossalmente su piazza San Pietro, Ornella era come sempre
elegantissima e, nonostante le rimostranze della padrona di casa, non
volle togliersi gli altissimi tacchi con cui continuò a graffiare per
tutta la sera il parquet.

E’ quello che ha sempre fatto: graffiava orgogliosa e sprezzante il
parquet benpensante di questo mondo, lasciava il segno e non permetteva
a nessuno di negare, camuffare o dimenticare la sua esistenza… lasciava
segni indelebili. La violenza della normazione e dei pregiudizi non le
lasciava spazio o la relegava a stereotipi per lei soffocanti, la
delegittimava ad ogni passo, e lei rabbiosa e instancabile sbatteva i
suoi tacchi per affermare instancabilmente il suo diritto inalienabile
ad esistere.

[…]

Da quante riunioni-fiume saremo tornate tra la carne ammassata di
quell’autobus e sempre mi sorprendeva l’innegabile attrito tra gli
interventi assembleari e i racconti della tua vita con cui riempivi il
viaggio… e quella notte, io e te uniche donne in un continuo di corpi
stanchi e indifferenti, e tu con il tuo scialle e la tua voce alta hai
svegliato tutto l’autobus con i tuoi racconti sugli uomini, sui
clienti, sul sesso, di come siano in realtà poveri e tristi e
impacciati, di come tutti gli uomini non siano altro che "clienti" solo
che noi donne continuiamo ad accettare inspiegabilmente di “dargliela
gratis” e in cambio riceviamo sopraffazione e machismo e orgogliosa
dichiaravi “invece almeno se è me che vogliono, mi devono pagare”. Io
ero tanto imbarazzata e un po’ divertita di quanto eri matta, tu che
sapevi che l’irruenza e la provocazione erano l’unico modo che ti era
concesso per guadagnarti tutto e subito, e a te non piacevano le attese
inutili.

… Ornella e la forza di vivere sulla tua pelle ogni giorno tutte le tue
contraddizioni non negandone mai alcuna, Ornella e la tua instancabile
volontà di vivere fino in fondo e in prima linea ogni cosa che dicevi,
Ornella e il tuo rivendicare sempre il tuo spazio…

[…]

Ornella non tentava assolutamente mai di "piacerti" o compiacerti,
spesso non era per niente dolce, aveva il sangue caldo e irrequieto di
chi troppe volte ha subito il potere, la sopraffazione, l’ingiustizia.
La lite più efferata è stata su corpo e mente: abbiamo litigato quando
mi ha detto feroce e sprezzante che io vendevo la mia mente, che io non
ero mai libera, che perdevo il mio tempo in "lavoretti", mentre lei
scendeva a compromessi col capitale solo col suo corpo ed era il suo
modo di ribellarsi, doveva in qualche modo almeno evidenziargli la loro
palese contraddizione, lei non avrebbe mai piegato silenziosa la sua
dignità e la sua intelligenza al ricatto come io facevo e faccio.

[…]

Poi ricordo una telefonata, poche parole ma io non ero a Roma e invece
Ornella aveva bisogno di un’amica vicina. La protervia maschile (ahah… sto parlando come te… “protervia” lo usavi solo tu!) non
accettava che una prostituta potesse essere autodeterminata, un
coltello aveva deciso di punirla… quando me l’ha raccontato restai
sconcertata soprattutto perchè per lei non era stata quella la violenza
peggiore, il peggio era stato in ospedale, era stato il comportamento
sdegnoso e freddo dei medici in quanto lei era solo una puttana e
dunque meno degna di ricevere cure e rispetto. Quella è stata l’unica
volta in cui nel suo racconto ho avvertito un’accusa, ho sentito
chiaramente la rabbia di chi dice “tu non puoi comunque mai capire”.

…Ornella e il mondo “perbene”, quello della repubblica fondata sul
lavoro, Ornella che prova a lasciare la prostituzione, che si accorge
che a lei neanche il diritto al lavoro è garantito in questa repubblica
fondata sull’ignoranza. Ornella che sogna un compagno, una carezza,
Ornella che sogna magari di ritornare al sud, in campagna o forse no,
meglio la Svezia… Ornella che sogna come tutte le donne…

Quanto abbiamo riso quella sera con due bottiglie di vino raffreddate
nella vasca, Ornella che mi raccontava di un magnifico cappello, di un
uomo dolcissimo. La mattina dovevano sfrattarla da quella casa, io
tentavo ingenuamente di trattenere “la sua corsa”, se avessi capito allora che era lì che cominciava il tuo tuffo verso il fondo, che eri comprensibilmente stanca… Mentre portavamo via le sue cose impacchettate (… non sono mai più tornate con te),
organizzammo in una notte un presidio per frenare uno stupido ufficiale
giudiziario e intanto ci “distraemmo” andando come due impazzite in una
ferramenta: ci serviva una quantità imprecisata di cemento e, senza
troppi giri di parole, Ornella chiese al commesso “Ma per otturare le
tubature di una casa quanto ce ne vuole?”… il commesso ci guardava
incredulo… ahaha! E abbiamo aggiunto alla spesa due bombolette spray.

… Ornella la tua rabbia, Ornella il tuo non fermarti davanti a nulla,
Ornella la tua risata che seppelliva indecentemente chiunque incontrava…

[…]

2 maggio 2008 ero al museo del prado, appena ho scorto il Guernica
di Picasso, ho sentito vibrare il cellulare… e il silenzio misto ai
singhiozzi dall’altro capo del telefono erano così espliciti, è stata
la prima volta che ho sentito dire il tuo nome sottovoce…

… Ornella e la sua tomba che nessuna di noi ha mai visto. Ornella
rispedita da questa “solita repubblica” alla famiglia, a chi (almeno in
parte) aveva voluto dimenticarla già da anni. Mi chiedo ancora che nome
ci sarà impresso sulla lapide, mi riprometto di andarci prima o poi,
quando l’avrò davvero capita…

L’ultima volta ci eravamo viste in un bar a Torpigna e le condizioni in
cui l’ho incontrata non ho mai saputo davvero da cosa erano motivate,
il suo sguardo era spaventosamente diverso, non feriva più con la sua
fierezza chiunque lo incrociasse. Con se aveva soltanto il suo libro di
svedese, quel sogno era l’unica cosa a cui si aggrappava ma stranamente
con poca convinzione, era stanca ma non lo diceva, non lo ha mai detto;
ricordo che le ho urlato contro ma lei come al solito urlava più di me,
le ho detto che in un viaggio verso l’autodistruzione io non l’avrei
mai accompagnata… avessi compreso allora che quel rifiuto mi avrebbe
comportato un autodistruggermi, una rimessa in discussione personale
senza ritorno… poi fine, poi non l’ho mai più rincontrata. Ho saputo
dalle altre amatriciane che continuava, che aveva deciso… e mi ero
anche ripromessa di chiamarla appena tornata da Madrid, ero
stupidamente certa di poterla convincere a fare anche solo un passo
indietro…

[…]

Eppure Ornie tu ci hai sbattuto in faccia ancora una volta quanto
siamo inadeguate, quanto il nostro parlare di cambiamento, di rifiuto
della famiglia come istituzione, di diritto alla casa, di Rivoluzione
sia un blaterare che promette tanto ma che continua ad avere troppi
pochi legami con le difficoltà materiali e con chi ha Bisogno della
rivoluzione "qui e ora" come te; perdonaci se non siamo state capaci di
comprendere che una come te non avrebbe mai potuto accettare uno
stupido assistenzialismo, perdonaci se non eravamo pronte a lottare al
tuo fianco… e personalmente ti chiedo scusa se anche il “fantastico
mondo dei/lle compagn*” di cui tanto ti avevo parlato si è dimostrato
ancora troppo “immaturo” per convivere con te e la tua grandezza
incontenibile.

[…]

Ornella mi ha insegnato a “guardarmi onestamente allo specchio”… non le
ho mai detto grazie ma so che lo sapeva o almeno lo spero, sapeva
quanto ero e sono felice di averla incontrata, ho il rimorso di ogni
momento perso con lei, delle cose non dette, ho il rimpianto che lei
non sia ancora qui, ne avrei bisogno io, e di sicuro ne avrebbe tanto
bisogno questo paese… Ne avrebbero bisogno i tanti che non l’hanno
conosciuta e usano con leggerezza la parola trans o puttana senza aver
mai conosciuto “la Dignità di una puttana”, senza mai essersi chiesti
quanto coraggio ci vuole ad andare controcorrente da sola, quanta forza
ci voglia per essere puttana per se stessa e non per gli altri.

[…]

Quel solo amore che la vita ha quasi sempre voluto negarti perché è
duro ammettere che a te ha riservato sempre troppo, sempre un’infinità
di pregiudizi e inadeguatezza… anche da parte mia, anche da parte
nostra… Mentre tu hai riservato al mondo davvero una gran bella lezione
di coraggio e autodeterminazione. Ornie è con te che ho davvero
compreso quanto è difficile essere donna e femminista davvero, e quanto
non sia importante il genere ma il sangue, quanto sia fondamentale
comprendere e accettare che fortuna sia l’esser nati/e semplicemente
ribelli.

Grazie ancora Ornie … 

Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali, Personale/Politico, Storie violente, Vedere.


2 Responses

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  1. viviana says

    non so cosa scrivere, o meglio non so come scrivere ciò che ho dentro… ho letto la lettera e penso che è ingiusto, che i/le compagn* dovrebbero esserlo davvero, sempre. Dovremmo capire, soprattutto noi, che ci sono donne che non possono aspettare una rivoluzione che neanche noi sappiamo quando avverrà, ci lavoriamo ma i risultati sono scarsi e più cerchiamo di avanzare e più indietreggiamo, perché questa cultura si fa sempre più forte e soffocante… ma chi paga? chi paga per le nostre attese? per le nostre incertezze? per i nostri cedimenti? Se il personale è politico, allora qualunque cosa faccia avrà un effetto non solo su di me, ma su tutte. Tutto ciò che accade, tutte le sofferenze, le umiliazioni, gli schiaffi, le botte, le uccisioni, gli stupri, le persecuzioni, le molestie ed ecc… tutto ci riguarda, ed è colpa nostra e non lo è. E’ colpa delle nostre mancanze, del non comprendere, del non prendere parte, del non reagire, del lottare ma poi accettare alcune cose… lo so, è un discorso estremizzato, ma sento che c’è un fondo di verità. Tutto quello che accade è figlio di ciò che è stato o che non c’è stato… e questo mi fa pensare. Noi possiamo davvero cambiare questo mondo? Non lo so, ma di certo non possiamo non provarci, anche perché non vedo altra strada da intraprende. Però quanto dovremmo aspettare? Ma poi vogliamo davvero aspettare? Io non voglio attendere. La rivoluzione (se la vedrò mai) voglio farla, farla io per me e per chi vorrà farla insieme a me. Ma è un’utopia, me ne rendo conto… perché noi possiamo combattere quanto vogliamo, ma il conto arriva sempre… come dice Ornella, io non sopporterei una famiglia patriarcale che mi ingabbia, ma allo stesso tempo ne vorrei una… una diversa, una paritaria, una dove non ci siano ruoli, ma doveri e diritti condivisi. Io vorrei un intero mondo così, ma se non lo è, è pure colpa mia. Non posso non ammettere le mie continue pecche, le mie manchevolezze, il mio non capire o forse non essere ancora in grado di farlo, le mie decisioni di accettare delle cose perché se no resterò sola e stronzate simili, non riguardano solo me… le nostre decisioni non riguardano solo noi… è questo che fa male, fa male ammetterlo e prenderne coscienza. Questo discorso non so se si capirà, è così complesso che non ho idea di come articolarlo… so solo che è vero, perché lo sento tale, e mi fa male perché so che per ogni mio passo indietro o solo per una testa più abbassata, oltre a me qualcun’altra pagherà. Avvolte tutto questo è insostenibile… ma è così, e non possiamo più non dircelo.

    grazie a tutte ma soprattutto ad Ornella che mi ha fatto commuovere e soprattutto riflettere su qualcosa che, pur sapendo,avvolte fingo di non vedere, perché fa dannatamente male.

  2. Olly says

    Grazie per averlo segnalato, è bellissimo.
    Un abbraccio enorme.