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La scrittura: tra la defecazione e il parto…

http://ripensandoci.files.wordpress.com/2008/10/donna-che-scrive.jpg

Non so se voi leggete o se vi piace scrivere. Io non posso farne a meno. Mi consumo gli occhi anche quando vado al cesso. Mi esercito e distinguo le scritte delle marche di shampoo, poi le avvertenze per l’uso dei farmaci e quando me ne ricordo aggiungo alla pila di libri che resiste anche in quel posto qualche racconto che mi piace ripassare.

Avessi la possibilità vivrei dentro una biblioteca, perchè ogni libro mi svela un segreto e ogni racconto mi fa entrare in contatto con chi l’ha scritto.

E’ come quando vedi tanti film: alla fine capisci chi racconta qualcosa di vero e originale e chi invece si serve della tecnica per mettere assieme dettagli e trucchi per costruire una storia vendibile.

Chi scrive quelle storie in fondo non è sempre un gran genio. Si serve di elementi consumati che finiscono per risultare prevedibili e banali e ci si legge un gran vuoto dentro perchè guardarli o leggerli non vi cambierà la vita.

La scrittura che colpisce, come il cinema o il teatro che vi lascerà un segno, che comunque sempre di cose scritte innanzitutto si tratta, è quella che si è evoluta in gran segreto nella testa dei suoi autori e delle sue autrici.

Perchè vedete, la scrittura, è come un parto molto spesso doloroso. E’ un fiume che trascina chi scrive e chi legge. Si libera dopo mesi e mesi di gestazione in cui è stata concepita quella storia.

La scrittura tecnica, priva di passione, senza "gravidanza", è semplicemente scontata, superficiale, consumistica, prefabbricata.

Una narrazione poderosa ti travolge e ti consuma perchè prima ancora ha travolto e consumato chi l’ha scritta. 

Un buon libro deve metterti in contatto con quei pensieri personali che l’autore o l’autrice ti regala. Deve essere una cosa intima, come fare l’amore, sensuale, sconvolgente, intensa, immediata. Deve essere un fatto privato, la costruzione di un feeling tra chi legge e chi scrive, e si tratta sempre di una empatia soggettiva che non può essere mediata da nessun critico.

Perciò odio la critica letteraria e odio anche le sponsorizzazioni editoriali con quelle promozioni così impersonali che mi esortano a comprare assolutamente un libro perchè c’è quella faccia o l’ha scritta il tizio o il caio.

Non ho molto tempo da perdere e di quello che fa la gente per vivere non mi occupo. Sicuramente rispetto chiunque si guadagni il pane, a prescindere dal fatto che quel mestiere mi sia in qualche modo utile oppure no.

Ma la dittatura dell’accademia della crusca e dell’immagine letteraria imposta davvero non la subisco.

Tempo fa era più semplice trovare libri importanti, di quelli che rappresentavano l’unica meravigliosa opera mai concepita da un autore o da una autrice che non a caso impiegavano una vita intera per scriverla, di quelli che l’editore sapeva apprezzare e ne prevedeva la vendita solo in virtù del fatto che erano belli, meravigliosi, eccezionali.

Oggi le librerie sono piene di tanta merda, non che la merda non abbia un suo fascino, sono mondi da esplorare pure quelli, per chi li preferisce, e se c’è merda che mi regala una emozione allora va tutto bene.

Ma per la maggior parte è materiale da discarica, che prenderò con gli occhi ed espellerò dal culo, in quello stesso cesso dove per fortuna troverò le mie ancore di salvataggio, altre mirabili letture con le quali disintossicarmi.

La cultura italiana non è peggiorata solo sul piano televisivo. Fa schifo tutta quanta e quelle poche persone che scrivono, che stimo, e che sono lusingate o trascinate in questo pandemonio finiscono per sprecare il proprio talento e per essere confuse a tutto il resto perchè se ti educano ad apprezzare merda chi vuoi che sappia distinguere un gioiello?

In fondo è tutta qui la differenza tra la cattiva e la buona scrittura: quella cattiva è stata espulsa dall’ano, dopo un attimo, un breve gorgoglio e un male di panza, senza pensieri né emozione, tutto molto lineare e superficialmente biologico.

Quella buona è una gravidanza, lunga, che si sviluppa prima nella testa, che si compone come un puzzle e poi si dilata e prende vita e si muove e infine, dopo il parto, già respira. Le parole scorrono come il sangue e ti fanno male e quel dolore è tuo e di chi ti legge perchè ti stai privando di qualcosa per regalarlo alla tua lettrice.

E’ troppo facile costruire una faccenda nella quale chiunque può riconoscersi. Difficile è raccontare se stesse. Ed è quello il regalo che la letteratura poche, rare volte ci ha fatto. E mi dispiace dirlo ma la maggior parte delle volte quel regalo veniva dalla firma di una donna.

—>>>l’opera è di Gherard Terborch – Donna che scrive, 1666 c.a

Posted in Narrazioni: Assaggi, Personale/Politico, Scritti critici.


One Response

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  1. Olly says

    Aò, ma ‘sti post li scrivete spiandomi??? :p