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Napoli, 19 febbraio: incontro per la campagna in sostegno alla legge per il risarcimento delle vittime di violenza sessuata

Venerdì 19 febbraio, a Napoli, in una iniziativa a cura dell’Udi di Napoli, un gruppo di donne illustra la proposta di legge che immagina una evoluzione insperata – soprattutto sul piano culturale – circa il modo in cui potrebbe essere trattata la lotta contro la violenza maschile sulle donne. Stefania Cantatore, Rosaria Esposito, Avv.te Elena Coccia, Mariagiorgia de Gennaro e Mariapia De Riso immaginano che le donne vittime di violenza, che loro definiscono sessuata, abbiano diritto ad essere risarcite esattamente come le vittime di mafia, che non è sufficiente la pacca sulle spalle, il commento pietoso, lo sguardo di tenera comprensione perchè il punto vero è che a tutte queste donne è stato tolto qualcosa di serio e che nessuno potrà mai restituirglielo se non vengono messe in condizione di esistere attraverso la certezza di un reddito.

Le cinque donne che abbiamo citato osano dunque perfino paragonare la violenza maschile alla violenza mafiosa e lo fanno redistribuendo la responsabilità di quanto avviene tra diversi livelli di complicità, di omertà, di pressioni che inducono le donne a non denunciare e a subire in silenzio per paura di vendette e ritorsioni. Perchè una donna che denuncia violenza se straniera rischia il carcere e l’espulsione se priva di permesso di soggiorno (ed è già questa una grande violenza di stampo razzista perchè nessun@ può essere considerat@ colpevole su base etnica) e se italiana comunque rischia l’isolamento, rischia di morire, fisicamente o socialmente, mentre chi commette la violenza finisce per contare su leggi che scagionano o attenuano il loro gesto che viene sempre relegato nella sfera dei raptus, delle conseguenze di una depressione e che concede loro di godersi la vita dopo aver ammazzato una donna.

La proposta di legge prevede perciò il sequestro dei beni ai maschi che commettono violenza, prevede che le regioni si organizzino per dare una mano alle donne risarcendole e dando loro opportunità di ricominciare facilitandone il reinserimento sociale a tutti i livelli.

Questa proposta di legge, come altre prima di questa, al di la’ dell’aspetto penale, suscita un immediato dibattito che sul piano culturale produce un progresso, una presa di coscienza e una assunzione di responsabilità generalizzate.

Le donne che subiscono violenza, italiane, straniere, dentro o fuori casa, subiscono un danno personale e anche economico. Liquidare le donne con parole formali non è più un ragionamento che ha senso.

La violenza contro le donne è argomento mal digerito da tanti. Una volta era giustificato dal delitto d’onore, poi era "riparato" con il matrimonio riparatore, poi fu difficile dimostrare che le donne sposate non devono essere stuprate, poi lo stupro fu considerato reato contro la morale, solo nel 1996 contro la persona, oggi – grazie alla pessima legge sull’affido condiviso sulla quale Elena Coccia ha scritto e detto tanto – un uomo che ha commesso atti violenti contro le donne può comunque ottenere l’affido dei figli e assieme a quelli ottenere l’assegnazione dei beni, della casa, di tutto. E ancora: la legge sullo stalking assume che il comportamento molesto da parte dei maschi che non si rassegnano alla fine di una storia è stigmatizzabile e punibile ma non risolve niente e in ogni caso non affronta le conseguenze della violenza e della persecuzione alle donne.

Questa proposta di legge sembra invece guardare lontano. La percezione della violenza e i metodi per risolverla sul piano sociale richiamano ad una grossa responsabilità collettiva di cui tutti devono farsi carico. Altrimenti sono solo parole e di parole ne abbiamo abbastanza. 

La proposta di legge non è a firma popolare ma chiede comunque adesioni e firme perchè siano le donne ad accompagnarla nel lungo iter e nella discussione pubblica che le cinque ideatrici sperano ci sia. Per le adesioni potete scrivere a udinapoli@gmail.com

e speriamo che sia femmina!

Sotto trovate, nell’ordine: 

la locandina di presentazione dell’iniziativa del 19 febbraio

una nota semplice di Stefania Cantatore che spiega e racconta come va intesa la proposta di legge;

una introduzione e la descrizione della proposta di legge divisa per punti.

Buona lettura!

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Venerdì 19 febbraio 2010 – ore 17

Palazzo Armieri (Via Marina 19/C- Napoli)

Incontro per la campagna in sostegno alla legge per il risarcimento delle vittime di violenza sessuata.

La legge verrà illustrata ed ognuna potrà testimoniare firmando la volontà di spingere il parlamento a discuterla.

È una legge necessaria, perché le donne non subiscano più le conseguenze del loro coraggio di denunciare, magari pagando con la vita.

Gli aggiustamenti e le leggi di settore spesso in conflitto tra loro, continuano a “rendere conveniente il silenzio”, mentre le donne dimostrano quotidianamente di avere a cuore la propria dignità e di aver più coraggio dei propri governanti.

Le vicende come quella della madre di Sanaa, che rischia di essere rimpatriata,  quelle di Joy ed Hellen recluse dopo aver denunciato le violenze subite,  non sono solo storie d’immigrazione, e chiamano in causa prima di tutto la responsabilità pubblica che misura la legalità senza tener  conto del danno più rilevante e del crimine più efferato e meglio organizzato:

LA VIOLENZA SULLE DONNE

Donne in tutta Italia discutono la nostra proposta: per essere sempre di più a spingere perché divenga legge dello Stato, apriamo la campagna di raccolta delle firme.

nella nostra città

nel corso dell’incontro verrà presentata la “CAMERA delle DONNE” che sostiene la nostra campagna.

UDI di Napoli

 

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Nota di Stefania Cantatore

La maggioranza delle donne che denunciano violenze, in particolare se la denuncia riguarda familiari o partners, si trovano prive dei mezzi a sostegno del riscatto e dell’autonomia.
La strade che si prospettano alla vittima, nel caso probabile della dipendenza economica dal partner violento, come nel caso del datore di lavoro violento, non sono per così dire “convenienti”, così, spesso, per liberarsi di una sofferenza e di un rischio per la vita (avvertito ingannevolmente come lontano e non immediatamente probabile) si va incontro a difficoltà prospettate dal contesto in modo molto più forte ed esplicito di quanto non vengano prospettati i rischi immediati del subire la violenza.
La legislazione in materia di violenza, se pure non ha eliminato il grado di “tolleranza pubblica” sul reato di violenza sessuata, è pervenuta ad una catalogazione certa del ventaglio di espressione del reato (molestie, stalking, stupro) ma ancora non recepisce la matrice del crimine, che poggia su una cultura parallela e che assume caratteri di solidarietà omertosa tra i possibili o reali offenders. Pur riconoscendo, la classe politica, “che la violenza sulle donne è una vergogna compiuta dagli uomini” ancora non riesce a riconoscere l’organizzazione occulta e le regole non scritte che permettono l’immutata incidenza del fenomeno.

Tutto questo evidenzia alcune significative analogie con il crimine organizzato:

– la vittima tace per paura delle conseguenze
– la vittima è “protetta” dallo stesso soggetto che perpetra il crimine
– uscendo dalla condizione di vittima  è costretta a nascondersi
– una volta che la sua condizione è conosciuta ed è conosciuta la sua denuncia, la sua considerazione sociale scende nella stima pubblica, per compatimento e per condanna.

Tutto questo significa, e si ribadisce, che sulla violenza sessuata pesa l’omertà, simile a quella che “protegge” il crimine organizzato.

Il crimine organizzato, come la violenza, non è sconfitto né dalle leggi né dagli usi condivisi, ma è contrastato e la parte civile più significativa è intervenuta con l’istituzione dei fondi pubblici di risarcimento, e soprattutto con il sostegno alla denuncia, finalmente premiata e quindi sostenuta dallo Stato. La vittima diventa così socialmente rilevante, nonostante le evidenti defaillances del sistema. La vittima ha diritto ad essere sostenuta, perché così dicono le leggi, e può pretendere di esserlo.

La legge per il risarcimento pubblico alle vittime di violenza sessuata è un passo indispensabile proprio perché lo stato “chiede” alle donne di denunciare.

Questo per quanto riguarda le vittime.

Per quanto riguarda il criminale va invece “reso sconveniente” il crimine.

Non deve essere più “meglio ucciderla che separarsi”, perchè tormentare o uccidere la partner avrà la conseguenza del sequestro dei beni.

La legge che proponiamo venga discussa è una legge quadro Nazionale, che demanda l’applicazione alle competenze territoriali

Si propone pertanto che, per le caratteristiche analoghe tra crimine organizzato e violenza sessuata, le misure di contrasto non si limitino a prevenzione “generale” e contrasto a danno avvenuto, bensì va resa automatica la relazione tra interesse dello Stato e quella della vittima a sconfiggere l’occulto ma concreto carattere associativo del crimine di violenza sessuata.
La vittima deve essere benemerita nella sua denuncia e lo Stato deve far coincidere i suioi interessi con quelli della vittima con:

La creazione di un fondo pubblico per il risarcimento e la normalizzazione dei diritti della vittima,

– In caso di vittime di violenza familiare: sequestro dei beni non in comunione e dell’asse ereditario.
– In caso di vittime di mobbing sessuale sul lavoro: sequestro dei beni non vincolati a produzione e retribuzioni, se legittimi e comprovati.
– In caso di vittime di stupri della strada: il fondo sarà poi reintegrato del risarcimento versato, da parte del comune dove lo stupro è avvenuto
– In caso di vittime nella pubblica amministrazione lo stato si rivarrà sulla retribuzione del colpevole e del dirigente che ha omesso la tutela della dipendente.
– Parte del fondo Europeo per il contrasto alle violenze di genere, in misura congrua nella disponibilità delle regioni, che provvederanno alla gestione del programma di risarcimento pubblico

L’eliminazione del conflitto tra leggi concorrenti in materia di ordine pubblico

– La vittima denunciante automaticamente deve veder decadere il reato di clandestinità, ed essere immediatamente protetta con permesso di soggiorno e con misure di inserimento lavorativo.
– Il nucleo familiare ove si sia perpetrato femminicidio, non può patire gli effetti della reclusione del colpevole, per cui vanno esclusi da pendenze economiche e rigori della legge sull’immigrazione i minori ed il coniuge genitore.
– Immediato sostegno contro le possibili ritorsioni del nucleo di origine del colpevole, anche quando residenti all’estero, con l’attivazione di misure di protezione che escludano il rimpatrio.

Le misure di protezione

– Analogamente a quanto previsto per il contrasto ai reati mafiosi, le misure vanno concordate con la vittima, che deve godere del massimo della normalità possibile
– Devono segnare la discontinuità con quanto avviene oggi: la vittima costretta a sradicarsi, e l’offender in pieno godimento dei diritti civili fino alla discussione del processo.

La denuncia

– Deve costituire, come già detto, titolo di merito sociale, per il valore civile nei confronti della legalità e delle altre possibili vittime
– Deve contestualmente prevedere la raccolta di dichiarazioni con valore di incidente probatorio
– La denunciante deve immediatamente essere affiancata da un avvocato incaricato dalla pubblica amministrazione, per la tutela dei suoi diritti e in prevenzione di imperizie e possibili interrogatori vessatori.

Per effetto di questa legge le regioni saranno tenute a dotarsi organismi e protocolli in applicazione delle norme generali.
 
Stefania Cantatore
 
Napoli 07/02/10

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Testo di presentazione per la proposta di legge per il risarcimento pubblico delle vittime di violenza sessuata

In Italia non si parla più della legge organica contro le violenze sessuate.
Eppure il vuoto legislativo si evince proprio nel capitolo “pericolosità sociale”
Lì sta il perché del richiamo della Corte Europea sulla libertà concessa ad un femminicida che ha poi ucciso ancora.
Il tempo delle donne non è quello degli uomini.
Il Parlamento dovrà prenderne atto ed intanto riconoscere per legge il
diritto delle vittime di violenza sessuata al risarcimento pubblico
Il 2015 viene indicato dall’ONU come l’anno nel quale gli Stati membri
dovranno andare all’eliminazione della violenza contro le donne.
Le risoluzioni per l’attuazione degli obiettivi posti dalla CEDAW
(convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne),
di cui nel 2009 è ricorso il trentennale, sono state sottoscritte
dall’Italia.
A quella sottoscrizione non sono seguite misure parlamentari e di
governo a conferma della priorità dell’impegno per l’eliminazione dei
meccanismi che determinano la discriminazione delle donne.
L’eliminazione della violenza degli uomini sulle donne, in tutte le
risoluzioni dell’ONU, recepite dall’Europa, è indicato come obiettivo
centrale e prodromico all’abolizione delle subalternità del genere
femminile.
In Italia le donne e il femminismo organizzato hanno costituito una
rete politica e solidale; da quell’esperienza hanno espresso il punto
di vista fondato sulla consapevolezza dei diritti ed hanno spostato i
traguardi per la realizzazione della democrazia.
Dalla modifica del codice Rocco fino al riconoscimento del reato
Stalking, le argomentazioni del movimento delle donne per
l’eliminazione della violenza degli uomini sulle donne sono state
“interpretate” riduttivamente dalla politica Italiana, che è
storicamente indifferente alla rivendicazione di una legge organica.
Questa indifferenza fattuale a considerare il fenomeno nella sua reale
dimensione, ha prodotto uno spezzettamento teorico di comodo del
fenomeno che, anche dal punto di vista lessicale, dissimula che la
violenza sessuata (degli uomini sulle donne e sulla prole) è una
modalità dalla radice unica, e cioè che è l’espressione e
l’affermazione dell’asimmetria di potere tra generi, presente in ogni
segmento dell’articolazione dei rapporti socio-economici.
Abbiamo, infatti, diverse classificazioni di un unico reato, facendolo
apparire come tale solo quando è stupro di strada, modulandone negli
altri casi la nomenclatura in relazione al luogo dove si perpetra il
crimine: bullismo nelle scuole, mobbing sessuale sui posti di lavoro,
delitto passionale, violenza domestica, omicidio tribale, prostituzione
coatta, prostituzione minorile e via dicendo.
L’elaborazione dei movimenti femministi e dei centri antiviolenza ha
permesso di vedere in modo chiaro nelle radici del problema, che è
strutturale, e nella diffusione, che ne fa un fenomeno socio-criminale.
È da quell’elaborazione che la politica ha preso la terminologia
politicamente attribuita al fenomeno, senza nominare le fonti. E’
infatti da quell’elaborazione che attinge definizioni e le svuota del
loro significato, per legittimare interventi che non disturbano il
perpetuarsi della violenza . Va detto inoltre la prevenzione, che
normalmente è prevista per ogni reato, non è mai presa in esame.
Quella che oggi anche i Governi chiamano rete antiviolenza, è
costituita per lo più da iniziative messe in campo dalle donne,
preesistenti alla presa in carico del problema da parte dello Stato,
per altro recentissima.
La rete antiviolenza è un’invenzione femminile, che appunto ha
preceduto lo Stato, autofinanziandosi e gestendosi con mezzi
commisurati appunto alla possibilità delle donne che lo gestivano.
Doveva forzatamente limitarsi ad azioni ex post, cioè a violenza
avvenuta.
Lo Stato, sul danno avvenuto, investendosi, formalmente, del crimine e
delle vittime, non ha però aggiunto nulla a quanto le donne già
facevano. Ne rivendica semplicemente l’azione come propria.
Dalla lettura delle leggi finanziarie si evince l’irrisorietà dei
finanziamenti e quindi l’irrilevanza attribuita alle vite delle donne.
Questo comportamento diventa difficile da giustificare di fronte
all’enfasi con la quale i politici sostengono di avere volontà di
intervenire sul problema.
Difficile da giustificare, ma si giustifica, a dispetto delle
intelligenze, contabilizzando nelle risorse impiegate contro le
violenze sulle donne, fondi normalmente destinati ad altri scopi, come
la repressione verso gli immigrati.
Infatti Il contrasto pubblico alle violenze è stato pretesto per
operazioni di ordine pubblico, che come si può osservare non hanno
modificato significativamente i dati di sempre, neanche negli stupri di
strada.
Questa politica che non destina risorse e che non vuole nei fatti
affrontare il problema, di cui è stata costretta ad occuparsi, cerca di
difendersi anche da una crescita delle denunce dei crimini nelle mura
domestiche. Vediamo infatti che l’azione fatta dalle donne per
incoraggiare le denunce, ha come interfaccia governativa la produzione
di spot televisivi e cartacei che (fastidiosamente imbevuti di retorica
sulle cittadine rappresentate come fiori) comunicano senza alcuna
possibilità di altra interpretazione che la responsabilità principale è
proprio delle vittime che non “hanno il coraggio” di denunciare.
Va allora detto che il contesto attuale, che non ha mai smesso di
sottintendere la sottomissione femminile, davvero richiede molto
coraggio alle vittime. Dopo la denuncia spesso le donne si trovano
ugualmente minacciate, più povere e senza casa, mentre i colpevoli
raramente cambiano condizione.
Intanto, nella difficoltà di quantificare il reale impiego dei fondi
comunque erogati, non si comprende come e dove questi vengano
assegnati, vista la precarietà nella quale vivono gli insufficienti
servizi tenuti in essere dalla volontà delle donne.
L’unica certezza è che, sotto diverse forme, fondi pubblici vengono
assegnati ad alcune realtà religiose che si occupano invece di donne
bisognose, in procinto di abortire, ragazze madri (desta una certa
indignazione la riscoperta di questa locuzione in luogo di “madri
capofamiglia”), poi conteggiate nella rete antiviolenza, per la cronica
mancanza di fondi.
In questa prospettiva si vedono improvvisare sportelli, centri, case di
accoglienza che non danno alcuna garanzia di rispetto dei protocolli
riconosciuti per l’accompagnamento delle vittime in un percorso di
autodeterminazione.
Si vede crescere l’antiviolenza come affare e occasione di clientelismo
politico. In questa prospettiva, ancora, si è aperto il fronte arcaico
della beneficenza e delle donazioni su cui è difficile stabilire un
benché minimo controllo.
Questo spaccato, che solo in parte descrive lo scarso effettivo
interesse della politica Italiana a contrastare la violenza sessuata,
prefigura la prospettiva di un sempre crescente ritardo di fronte alle
cittadine e sulla scena mondiale al 2015.
——————
Il punto di oggi non è più dimostrare che la violenza esiste perché un
genere la impone all’altro, al di là delle convinzioni dei singoli
politici o dei singoli cittadini, ma anche, perché no, al di là delle
convinzioni di donne che pur avvertendo la tortura cui sono sottoposte
non possono poi decidere che altre e le proprie figlie la subiscano
tramandando un crimine che è insieme un privilegio.
Il punto di oggi è che di fronte a quanto accade e può accadere ad ogni
donna, lo Stato Italiano, pur considerando ufficialmente la violenza
sessuata un crimine, ancora vi si pone di fronte non avvertendo il
proprio obbligo a garantire il rispetto un diritto umano.
Non si tratta per la politica di governare i sentimenti, perché non le
compete e perchè questo attiene alle libertà individuali: si tratta di
impedire che questi sentimenti e le convinzioni personali abbiano la
forma e peso politici che condizionano la legalità verso le cittadine
Italiane e verso i paesi coi quali si tratta e si scambia.
Se siamo ancora al punto in cui lo Stato, su un crimine che dimezza e a
volte annulla il diritto di cittadinanza femminile, si limita ad
auspicare pubblicamente buoni sentimenti, tollerando nei fatti pratiche
femminicide, sarà il movimento organizzato delle donne a dover
ingaggiare azioni necessarie ad uscire dalla logica del semplice riparo
al danno avvenuto e del semplice riconoscimento che il crimine c’è.
—————
Facendo un paragone incongruo, ma commisurato alla capacità di
comprendere del livello politico attuale, non c’è che da chiedersi
quale credibilità potrebbero reclamare un Governo ed uno Stato che di
fronte alle mafie si comportassero in modo analogo a quanto agiscono
verso le violenze commesse sulle donne.
Se pure la violenza sessuata ha carattere più distruttivo delle mafie
perché attraversa tutte le condizioni e tutti i livelli di potere, va
affrontata dal potere politico almeno per quanto si fa per le mafie.
Più delle mafie la violenza espressa sulle donne corrompe, sposta
risorse economiche, crea situazioni patrimoniali illegittime, blocca
interi segmenti dell’economia. Più delle mafie fidelizza e condiziona
consensi, è fonte di ricatto e limita la democrazia. Più delle mafie
condiziona e distorce i rapporti politici.
Si tratta insomma di un fenomeno criminale che per carattere
strutturale, diffusione e ripercussioni costituisce pericolosità
pubblica e sociale.
Più che per le mafie, anche di fronte alle scadenze della legalità
internazionale nell’incontro tra le culture, deve essere reso visibile
e non equivocabile l’interesse superiore della Nazione all’eliminazione
della violenza sessuata.
Gli Stati e lo Stato Italiano hanno una strada obbligata per acquisire
credibilità nella lotta al crimine: compiere gesti onerosi e
significativi.
Sul modello che ha affermato l’interesse superiore dello Stato a
combattere le mafie, va almeno e necessariamente riconosciuto il
diritto al risarcimento delle vittime di violenza sessuata. La
creazione di un congruo fondo pubblico per il risarcimento, costituito
dal sequestro dei beni degli autori dei crimini, con modalità eque
verso le loro famiglie incolpevoli, costituisce ormai una tappa
obbligata e percorribile .

TESTO DELLA LEGGE
LA VIOLENZA SESSUALE
, NUOVE FRONTIERE E RISARCIMENTO DEL DANNO

(Stefania Cantatore, Rosaria Esposito, Avv.ti Elena Coccia, Mariagiorgia de Gennaro e Mariapia De Riso) 

L’Organizzazione delle Nazioni Unite, nella IV Conferenza Mondiale, ha riconosciuto che la violenza contro le donne è “un
ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e
pace, e che viola e inficia il godimento dei diritti umani e delle
libertà fondamentali”.
Inoltre, definisce la violenza sulle donne come la principale manifestazione di diseguaglianza nei rapporti tra donne e uomini.
Definisce inoltre il maltrattamento sulle donne “come
una conseguenza dei condizionamenti socio culturali che agiscono sul
genere maschile e femminile, collocando (la donna) in una posizione
subordinata all’ uomo, e che si manifestata in tre ambiti relazionali
basilari della persona: maltrattamento nelle relazioni di coppia,
aggressioni sessuali nell’ ambito sociale e molestie sul lavoro”
.
La Conferenza di Pechino aveva già definito la violenza sessuata “reato di genere”, mettendo in forte rilievo il fattore culturale all’origine della stessa.
Il
Cedaw ha inoltre proclamato che gli Stati membri dell’ONU devono
impegnarsi, entro il 2015, a porre in essere tutti gli strumenti legali
di contenimento e tutela sociale, per l’eliminazione, o quanto meno la
riduzione, della violenza sulle donne.
Del medesimo orientamento: la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979; la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro la donna proclamata nel dicembre 1993 dall’Assemblea Generale; le risoluzioni
dell’ultimo vertice internazionale sulle donne svoltosi a Pechino nel
settembre 1995; la risoluzione WHA49.25 dell’Assemblea Mondiale della
Sanità, che definisce la violenza come un problema prioritario di
salute pubblica, adottata nel 1996 dall’OMS; il rapporto del Parlamento Europeo del luglio 1997; la risoluzione della Commissione per i Diritti umani delle Nazioni unite del 1997; la proclamazione del 1999 quale Anno europeo della lotta contro la violenza di genere.
Più
di recente, la decisione n. 803/2004/CE del Parlamento Europeo, che
approva un programma di azione comunitario (2004-2008) per prevenire e
combattere la violenza esercitata su bambini, giovani e donne, per
proteggere le vittime e i gruppi a rischio (Daphne II), ha definito la
posizione e la strategia da mettere in atto per i rappresentanti delle
cittadine e dei cittadini dell’Unione.
Tuttavia,
nonostante il buon esito della Legge italiana 66/96 e
la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni
preposte, che hanno visto nascere e moltiplicarsi sul territorio
nazionale Centri antiviolenza, associazioni femminili, ONG preposte
alla prevenzione, alla tutela e contrasto alla violenza sessuale, e
nonostante che la sensibilizzazione su tale argomento sia oggi
considerata come valore condiviso da tutti i gruppi politici presenti
in Parlamernto e nel Paese, bisogna però rilevare che la violenza sulle
donne e sui bambini, le molestie sessuali e sul lavoro, non sono
affatto diminuite.
Addirittura
nel corso del 2009 ben 103 donne in Italia sono state uccise mentre
ancora non è possibile effettuare indagini statistiche sul numero delle
violenze sessuali perpetrate, anche in considerazione del fatto che le
denuncie sono solo la punta di aisberg del fenomeno.
Occorre
quindi che l’Italia si munisca di un sistema complessivo che tenga
conto, a 360 gradi, della materia legata alla violenza sessuata, di
modo che essa sia affrontata sia sotto il profilo della prevenzione che della tutela e del contrasto, dal
momento che viviamo una realtà nella quale i messaggi provenienti dai
mass-media e dalla pubblicità, tendono a comunicare l’esatto contrario.
Molteplici sono infatti i messaggi subliminali che attentano alla dignità della donna, determinano nel sentire e nella cultura comune uno svilimento del rispetto dei principi costituzionali basati sull’ uguaglianza, sull’autodeterminazione  e sulla convivenza civile.
Recependo
quindi le esigenze delle donne, sia vittime che operatrici nel campo
della violenza, ed ispirandoci al modello spagnolo , che per primo ha
dato organicità agli impegni iternazionali assunti, riteniamo di poter
offrire taluni suggerimenti.
La
nostra proposta non è, pertanto, di modifica alla Legge 66/96, bensì
una integrazione ad essa, nel rispetto delle raccomandazioni degli
organismi internazionali ed degli impegni assunti dagli Stati in quelle
sedi.
Auspichiamo
pertanto l’inserimento delle nostre proposte all’interno di una Legge
quadro che, senza modificare gli aspetti positivi della normativa già
esistente, tenga conto delle della necessità di esaminare la
problematica in tutti i suoi aspetti, dalla prevenzione al
reinserimento della vittima.
Auspichiamo altresì che, in questa prospettiva, venga finalmente regolamentata la forma più nuova di violenza, ovvero il mobbing sessuale che
viene esercitato su tutte quelle lavoratrici precarie e non, sottoposte
in ogni caso, al ricatto della conservazione del lavoro.
 
1) PREVENZIONE
E’
necessaria la formazione dei soggetti preposti all’educazione,
alla sensibilizzazione ed al controllo sui messaggi che
quotidianamente, attraverso la pubblicità ed i mass media, violano la
dignità dell’essere umano, nel rispetto dei principi approvati dal
Parlamento Europeo nella Risoluzione sulla Discriminazione della Donna
nella Pubblicità (R.A4258-16/09/1997).

2)
FORMAZIONE ED ASSISTENZA  
La formazione deve riguardare tutti quei soggetti preposti ad offrire l’aiuto di primo impatto alle donne in difficoltà: operatrici-ori, assistenti sociali, medici, forze dell’ordine, avvocati.
Auspichiamo che l’informazione, il primo contatto e l’assistenza possa essere offerta da Centri di Assistenza Permanenti,
diffusi sul territorio ed in particolare nelle zone a rischio, in grado
di offrire prestazioni specialistiche e multidiscplinari.
Tali centri vanno adeguatamente sostenuti economicamente, per consentirne il funzionamento e l’efficacia.
Dovrà essere necessariamente
riconosciuto il diritto al patrocinio a spese dello Stato, sia per le
vittime che per gli enti esponenziali.
Siamo consapevoli che nelle maggiori
città italiane sono stati sottoscritti protocolli con le Forze
dell’Ordine e talora con le ASL affinchè venga assicurata la presenza
di personale specializzato, tuttavia tale garanzia dovrà essere estesa
a tutto il territorio nazionale.
Non sfugge tuttavia che la maggior parte delle violenze viene consumata in famiglia e che pertanto i medici di famiglia e la scuola costituiscono ancora oggi il primo recettore di allarme. A tal uopo si auspica la formazione specifica degli insegnanti e dei medici di base.
Non dovranno essere esenti da una specifica formazione e preparazione professionale, assistenti sociali, avvocati e magistrati.
Si auspica, inoltre, la costituzione, in tutte le Procure, di pool specializzati nel contrasto della violenza sessuata, in famiglia e su persone.
Auspichiamo la costituzione di una rete nazionale   al fine della presa in carico della vittima affinchè venga indirizzata al presidio competente più vicino, le vengano fornite tutte le prime informazioni necessarie, ed avviata presso strutture protette, nel caso in cui richieda.
 
3) CONTRASTO
Il
movimento delle donne non si è mai appassionato all’entità della pena,
tuttavia appare evidente che il contrasto alla violenza sessuata deve
attuarsi anche attraverso un processo celere che consenta, nella garanzia di tutte le parti, la certezza della pena.
Non
vi è dubbio che la celerità del processo è un valore aggiunto
ineludibile soprattutto in presenza di giovani donne il cui diritto
fondamentale è la restituzione, il risarcimento del danno, il
superamento del lutto.
A tal uopo auspichiamo l’allargamento dell’incidente probatorio a tutte le vittime di stupro, abusi e violenze sessuali, anche se adulti.

La raccolta anticipata della prova consente quindi di poter attuare, in caso di positività della stessa, il sequestro dei beni dell’indagato eccezion fatta per i beni necessari al sostentamento del coniuge e della prole.
Analogamente andranno sequestrati, nel caso di vittime di mobbing o violenza sessuale, beni non vincolati alla contribuzione e retribuzione se legittimi.

 
4) FONDO DI GARANZIA PER LE VITTIME DI VIOLENZA SESSUATA
Devono essere previste misure di sostegno economico affinchè venga costituito un fondo di garanzia
per le vittime della violenza sessuata, come già il nostro ordinamento
prevede per le vittime della strada e della criminalità organizzata.
Nella consapevolezza che il reato di genere è un reato gravissimo,   riconosciuto a livello internazionale come violazione di un diritto umano,
riteniamo che, così come vengono riconosciute, nel nostro ordinamento,
fondi di solidarietà e di garanzia per le “ vittime delle richieste
estorsive” (L. 44 del 23.02.99) e per “le vittime della strada”
(L.990/69), si preveda di istituire un fondo di garanzia per le
vittime di violenza sessuata, da integrare con i beni sequestrati al
reo, con assicurazione con contributo statale, e con modalità simili a
quelle già sperimentate per i suddetti fondi.

Tale
esigenza nasce dala considerazione che il reato di violenza sessuata,
lungi dall’essere meno importante dei danni derivanti da incidente
stradale o da quelli derivanti da richieste estorsive, produce un danno sociale di rilevantissima entità, non solo alla vittima ma all’intera comunità. 
In
particolare, soprattutto in caso di violenza intrafamiliare, il fondo
deve garantire le vittime, se appartenenti a famiglie carenti di
risorse economiche, ogni forma di sostegno sociale in tutti quei
casi in cui si presume che la vittima, per età o per condizione
economica, non possa emanciparsi dall’aggressore.
 
5) REINTEGRAZIONE SOCIALE
Sul
modello della normativa spagnola, che per prima ha recepito la
necessità di trasferire in una legge organica gli impegni assunti
attraverso la sottoscrizione delle convenzioni internazionali,
indipendentemente dal risarcimento,ci si dovrà impegnare a  
garantire alla vittima di violenza di genere:
Il diritto al lavoro e alle prestazioni della sicurezza sociale: la
lavoratrice vittima della violenza di genere avrà diritto alla
riduzione o alla riorganizzazione dei suoi tempi di lavoro, alla
mobilità geografica, al cambiamento della sede di lavoro, alla
sospensione del rapporto di lavoro con mantenimento del posto. Il tempo
di sospensione va considerato come periodo di contribuzione effettiva.
La ripresa del lavoro da parte della lavoratrice avviene alle
condizioni esistenti al momento della sospensione del contratto. Le
assenze o la mancanza di puntualità provocate da situazione psichica o
psicofisica, derivanti dalla violenza di genere, saranno
considerate giustificate su decisione dei servizi sociali che avranno
preso in carica la donna.
Le lavoratrici autonome,  vittime
di violenza di genere e che cessino la loro attività per rendere
effettiva la loro protezione o il loro diritto alla ripresa psicologica, potranno beneficiare di una sospensione del versamento dei contributi.

– Nei casi particolari in cui il reato di genere venga perpetrato all’interno delle mura domestiche ai danni di soggetti deboli legati all’esecutore materiale del reato da rapporti familiari, di convivenza ecc..anche per   sudditanza economica,
si dovrà favorire in tutti i modi l’affrancamento della vittima dal
carnefice, anche dal punto di vista economico e, indipendentemente
dalle forme di risarcimento, approntare tutti gli strumenti necessari
atti ad avviare tali soggetti all’indipendenza economica.
-Il soggiorno eventuale presso le case famiglia e l’allontanamento dalla propria abitazione deve essere per brevi periodi ed il risarcimento, lungi dall’essere una sorta di assistenzialismo fine a se stesso, deve trasformarsi in opportunità per la vittima.
 
Hanno aderito fino ad ora alla proposta di legge: Udi di Napoli, Associazione Maddalena,
Associazione donne medico, Arcidonna, Comitato 194, DonneSuDonne,
Centro EVA, Elvira Reale, Simona Ricciardelli, Ersilia Salvato, Elena
Coccia, Maria Giorgia De Gennaro, Maria Pia de Riso, Angela Cortese,
Annamaria Spina, Giovanna Crivelli, Udi di Catania, Carla Cantatore, Mostra tuttoSpazio
Aspasia, Annalisa Marino, DonneSuDonne, Lidia Menapace, Associazione
Salute Donna, Laura Capobianco, Febe Onlus., Udi Reggio Calabria,
Valentina Riegel, Associazione Ernesto Rossi, Antonella Cammardella,
Marisa Russo, Fiorenza Taricone, Luisa Festa, Titti Marrone, Annamaria
Schena, Lina di Maio, Ester Basile e associazione Pimentel, Lia Polcari
e La libreria Evaluna, Floriana di Maggio, Armando Giraud, Silvia De
Maria, Maria Rosaria Cuocolo, Roberta Arsieri, Alisa del Re, Mariella
Pelligra, Luisa Menniti, Teresa Boccia, Maria Assunta Vecchi, Marcella
Brevetti, Comitato Internazionale 8 Marzo, Maria Luisa Rega, Rosaria
Giugliano, Rita Sepe, Arcilesbica Udine, l’Orsa Maggiore, Cooperativa
Dedalus, Tania Castellaccio, Ester Lenisa, CEDAV Messina, UDI Lentini,
Luminaria-Palermo, Noi Donne, Tiziana Bartolini, Pina Tommasielli,
Rosangela Pesenti, Coordinamento Lesbiche Romane, Emilia Lanzardo, Imma
Barbarossa, Matilde Lanzino, Anna Maria Garavagno, Alessia Antonetti,
Maria Sacco, Valentina Carmenini, Lucilla Ciambotti, Manuela Carmenini,
Adriana Buffardi, Donne contro la guerra-Spoleto, Rete Centri
antiviolenza “le Nereidi” di Siracusa, Ida Orabona, Patrizia Palombo,
ass. DREAM-TEAM, Maria giovanna Gambara, ABBAC, Anna Maria Montano,
Ilva Mozzillo, ass. Primaverarte, Carla Capaldo , Ass. CORA, Maura
Mastrobuono, Marianna Panico

Posted in Corpi, Fem/Activism, Iniziative.


One Response

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  1. Davide89v says

    Ottima iniziativa, ci voleva proprio! Firmato.