"Sei tu che mi costringi a farlo!" e mi picchiò ancora una volta. Rimasi in casa a curarmi i lividi e chiamai sua madre per chiederle ospitalità. Mi disse che dovevo aver fatto qualcosa di orribile per fare innervosire suo figlio in quel modo: "Lui, lo sai com’è fatto, basta saperlo prendere e poi è buono come il pane!".
Il giorno dopo incontrai sua sorella. Venne a trovarmi a casa "perchè la gente parla, è meglio che tu non esca finchè hai in faccia quei lividi". Le raccontai di come avevo trascorso la notte, delle attenzioni di suo fratello e lei mi fece una carezza, la stessa carezza che avrebbe fatto ad un animale domestico. "Ma come, non sei contenta che tuo marito ti desideri così tanto? Ma non vedi quanto ti ama? Lui bacia il terreno sul quale cammini. Non sai quanto ti invidio. Vorrei avere io un uomo che stravede così per me."
Allora chiamai la moglie di suo fratello e lei mi disse che lui era un po’ allo stesso modo ma lei non gli dava nessuna occasione di fare quello che mi imponeva mio marito. Ne faceva un motivo di vanto, come fosse una competizione tra me e lei. Io non ci sapevo fare e lei invece meritava una medaglia e la questione poteva chiudersi lì.
Chiamai sua nonna, che aveva mostrato di volermi così bene, e mi disse che non si poteva affermare che io fossi proprio una bellezza, che ero già avanti con l’età, che chissà se qualcuno mi avrebbe più voluto e che dovevo essere contenta di sapere che un uomo pur di toccarmi si esponeva così tanto.
Chiamai mia madre e mi disse di pazientare, che la famiglia è fondamentale, più importante di qualunque cosa, che avrei dovuto pensarci prima, che lei con mio padre era stata tanto paziente perchè c’eravamo noi, i figli, e si era sacrificata e come fosse un dovere di tutte le generazioni successive anche io dovevo soccombere e seguire la strada maestra: la via della rassegnazione.
Chiamai mia sorella e lei era presa dai suoi progetti e mi disse che ero sempre una gran fonte di preoccupazione per tutta la famiglia, che immaginavo di essere il centro del mondo e che non potevo certo aspettarmi che tutti si precipitassero in mio aiuto. Era sempre stata un po’ gelosa di me e ora si era guadagnata uno spazio tutto suo al quale non poteva rinunciare.
Chiamai mia cugina, che un po’ ce l’aveva con mia madre e mia sorella, e allora mi diede retta finchè non le chiesi di ospitarmi per qualche giorno, giusto il tempo per risolvere prima di andare altrove. Mi disse che non poteva assumersi quella responsabilità e che doveva prima parlarne con sua madre. E sua madre disse di no perchè non poteva fare nulla in disaccordo con sua sorella. Sua sorella, per inciso, era mia madre.
Chiamai un’amica, l’ultima che mi era rimasta perchè nel tempo in cui ero stata sposata mio marito mi aveva fatto abbandonare tutte le frequentazioni e io non ero riuscita a mantenere in vita un solo rapporto integro al di fuori della famiglia. Lei era stata la mia testimone di nozze e non capiva neppure cosa le stessi dicendo. "Non capisco, ma tu perchè gli dici di no? E allora perchè l’hai sposato?" e mi chiedeva di riflettere perchè le amiche qualche volta ti usano per stare meglio con se stesse e si sentono in diritto di dettarti ricette di vita lusingate dall’idea di avere un pubblico. La mia vita non le interessava.
Pensai allora di chiamare mio padre, ma lui mi avrebbe detto che mio marito aveva ragione, che era normale pretendere da una moglie quello che lui pretendeva e poi come facevo a dirglielo? Mi imbarazzava troppo. E io non volevo essere soccorsa, volevo solo essere aiutata ad aiutare me stessa e consegnare questo compito a mio padre significava dover fare quello che avrebbe deciso lui. L’avrei tenuta come ultima chance.
Telefonai ad un numero "rosa" per chiedere informazioni e mi dissero che dovevo rivolgermi al centro antiviolenza più vicino, praticamente a 300 chilometri di distanza, impossibile da raggiungere. In alternativa c’erano i servizi sociali i quali mi dissero che non si occupavano di questo genere di cose, non rientravano tra le loro competenze e che avrei dovuto fare una denuncia ai carabinieri.
I carabinieri mi dissero che dovevo sottoscrivere una denuncia e aspettarne l’esito: "Sa, signora, per questo genere di cose occorre una valutazione. Non possiamo procedere. Abbiamo le mani legate perchè non possiamo coglierlo sul fatto." Nel frattempo fecero un richiamo formale a mio marito e il mio medico mi disse di rivolgermi al reparto psichiatrico per farmi dare una medicina che mi conciliasse il sonno.
Mio marito conosceva tutti e ovviamente conosceva anche i carabinieri. Il richiamo formale fu il modo per informarlo che sua moglie parlava male di lui e tutto finì con una pacca sulle spalle e una complice stretta di mano.
Allora mio marito chiamò tutta la famiglia, la sua, la mia, e chiese che tutti si prendessero cura di me perchè stavo molto male e lui aveva fatto di tutto per aiutarmi senza riuscirci. Stabilirono turni di sorveglianza, mi obbligavano a prendere le medicine e dopo qualche tempo non ebbi più la capacità di reagire.
Pazientai, soprattutto per i miei figli, perchè ho anche dei figli sapete? Due, per l’esattezza. Ottenni la fiducia della famiglia mentre ogni notte subivo quell’orrore.
Un giorno mio marito tornò a casa con dei soldi ritirati in banca per comprare un’auto usata. Disse che era un regalo per me, perchè mi ero comportata bene. Decisi allora che se regalo doveva essere avrei scelto io cosa acquistare. Presi i miei figli e andai all’estero.
Ora mi trovo in un altro Stato. Mio marito cerca di togliermi i figli. Mi ha denunciato per furto e sottrazione di minori. Io l’ho denunciato per violenze. Qui c’è un gruppo di donne che mi ha offerto ospitalità, un lavoro e la garanzia di ottenere asilo. La legge mi ha riconosciuto il diritto di affido dei bambini e io sono tutelata affinchè nessuno sappia mai dove sono.
Che tipo di violenze ho subito?
La mediocrità, innanzitutto, la incapacità di guardare lontano. La banalità, l’ignoranza. Per stare con mio marito bisognava recitare. Essere la tipica mogliettina degli spot televisivi. Avrei dovuto essere felice di vivere tra stereotipi e luoghi comuni. Avrei dovuto ridere delle cose che piacevano a lui e avrei dovuto fare sesso senza fantasia. Ogni notte la stessa identica posizione, pochi minuti, niente di più, con un uomo che non sarebbe riuscito a sedurre neppure una formica.
Come fai a dire ad un uomo che è noioso, che tutto di lui ti disturba, che è solo un essere informe, uno tra tanti, nessuna intelligenza, niente di imprevedibile, niente di diverso da ciò che avrebbe potuto fare un qualunque replicante. Mio marito era stato clonato tra migliaia di uomini identici che popolano il pianeta e lo dominano e intendono farci credere che tutto debba andare esattamente come dicono loro.
Si può giudicare in quanto "violenza" l’ovvietà? Quella cosa che nel tempo ti atrofizza il cervello, congela il tuo senso critico, ti omologa alla massa di esseri senza curiosità e senza vita? Per me era così, un bel giorno mi fu chiaro e glielo dissi e fu a quel punto che prevedibilmente lui mi giudicò un’ingrata e notte dopo notte si prese quello che non volevo più dargli.
Non sapeva fare altro, semplicemente soffriva di astinenza, come un drogato. Amava per necessità e non per amore. Si disperava e mi lasciava dolorante sul pavimento dopo ogni sua dichiarazione d’amore. Dapprincipio finiva tutto lì, poi decise che era suo diritto pretendere di più e allora mi fece fare ciò che più consideravo sconcio. Io sotto, lui sopra, e non riusciva a rinunciare alla recita dei preliminari neppure mentre mi stuprava.
Dovevo sembrargli davvero matta mentre gli dicevo che la banalità era per me una violenza. A lui che mi faceva male quel tanto che bastava per assicurarsi che io non fossi più in grado di reagire. Nulla di mostruoso perchè per lui il male corrispondeva ai litri di sangue che qualcuno fa scorrere. Io ne perdevo giusto qualche goccia, nulla di irreparabile e lui era giudicato da tutti un brav’uomo. E accanto a lui tante brave donne, tutte commoventi nella loro capacità di non vedere oltre se stesse. Tutte miopi e complici.
Avrei voluto denunciare loro per complicità. Ma neanche qui dove sto c’è una legge che svela i livelli di associazione tra un uomo molesto e le sue o i suoi complici.
Forse dovrebbe esserci, così le donne da vittime piagnone invece che complici imparerebbero a diventare carnefici consapevoli o forse, ed è quello che spero, sarebbero più disponibili a capire che per ciascuna delle loro rinunce tutte le altre pagano un prezzo. Per ciascuna delle loro scelte rassegnate c’è una donna che subisce violenza. Qualcuno lo deve pur dire e allora lo dirò io.
Grazie per avermelo permesso.
R.
R. grazie a te per averci raccontato la tua storia. Sono felice che adesso tu sia lontano, con i tuoi figli, a vivere una vita sicuramente più felice. Personalmente non capisco perchè gli uomini trovino così tante complici femminili (la complicità maschile è più facile da capire)… forse perchè anche loro hanno subito le medesime violenze ma non vogliono riconoscersi come vitteme di stupri? E questo potrebbe essere, se è vero tutt’oggi che molte donne non denunciano lo stupro per paura/vergogna. Oppure perchè davvero credono che avere delle “attenzioni” tali dal marito sia qualcosa di cui andar fiere? Ma lo capiscono che una donna, anche quando si sposa, resta un individuo con proprie esigenze? O dobbiamo annullarci per l’altrui piacere? Inoltre hai ragione quando dici che l’ovvietà è una violenza, perchè ti appiattisce il cervello e ti impedisce di vedere altro che non sia la “norma”… la reputo una delle violenze più cruente a cui un essere umano possa essere sottoposto. Per la questione delle complici, come darti torto… dovrebbero permettere di denunciarle/i così finalmente sceglierebbero da che parte stare, perchè come dici tu ad ogni loro silenzio/consenso assenso una donna subisce una violenza.
Ti ringrazio davvero per aver condiviso la tua storia… un abbraccio fortissimo