Tanto tempo fa ebbi una conversazione abbastanza paradossale con un giornalista del corriere. Collaboravo come tante altre persone con indymedia-italia quando italy-indymedia viveva il prima e il dopo genova 2001. La vecchia struttura del sito, ora totalmente rinnovato come aggregatore di fonti locali e di altri progetti affini, presentava una fascia centrale in cui potevi leggere delle sintesi di news – le feature – che venivano elaborate e discusse in una mailing list pubblica da tutte le persone iscritte che volevano partecipare. Una sezione laterale invece era dedicata all’open publish attraverso il quale chiunque poteva pubblicare ciò che voleva. Era a pubblicazione aperta, i nostri criteri di cancellazione erano rispetto della privacy, antifascismo, antisessismo, antirazzismo, niente partiti e pubblicità. Se rispettavi queste regole della policy condivisa da tutt* il tuo post restava lì.
In quegli anni varie fonti di "informazione" ufficiale si servirono del sito per prendere – anzi arraffare – notizie, video, che stavano lì con la clausula – non sancita dalla siae – che bisognava citare la fonte e che nessuno potesse usarli per fini commerciali. E’ una regola della condivisione, quella che noi difendiamo da sempre e che viene osteggiata particolarmente da quelli che vanno in giro per il web a fregare il materiale proprio dai siti a licenza free, no copyright, creative commons. Carta stampata e tivu’ fecero man bassa del materiale fornito "gratis" dai volontari della informazione indipendente e quello che per loro rappresentava una fortuna talvolta diventava anche una trappola, un fake.
Capitava che certi signori copiassero delle notizie prese dal newswire, la sezione a pubblicazione aperta, e poi si rendessero conto del fatto che erano gran bufale. Dopo le prime figure di merda cominciarono a scrivere di tutto e di più: indymedia non è affidabile, la pubblicazione aperta dovrebbe essere filtrata, l’open publish è difettoso, etc etc. Tutto perchè loro avevano bisogno di notizie già verificate perchè non avevano evidentemente sufficiente adrenalina in corpo per muovere il culo e verificarsele da soli. Sicchè esigevano che noi ci strutturassimo come una redazione, con le gerarchie e tutta l’impostazione da "casta" che loro conoscevano. Cominciarono ad essere così pubblicati gli articoli dei detrattori e l’open publish divenne il nemico da abbattere.
Poi indymedia si fermò per un po’ e riparti con un progetto adeguato alla nuova tecnologia. Non fu mai messo in discussione l’open publish se non nella misura in cui veniva scientemente preso di mira da squadristi fascisti o semplicemente idioti che scrivevano di tutto per pisciare sul territorio. Lo fanno anche nei blog femministi, perciò voi – care sorelle che sapete – vi renderete perfettamente conto di cosa parlo.
Dicevo della telefonata con il giornalista. Aveva letto una pagina sul newswire, non gli sembrò vero di poter avere lo scoop gratis e pubblicò tutto sul suo giornale. Fece una gran figura di merda e indovinate con chi venne a prendersela?
All’epoca avevamo costituito un team di persone che facevano press perchè periodicamente indymedia veniva tirata in ballo per qualche motivo e perchè era capitato, come nel caso della seconda intifada in palestina, che il sito divenisse l’unica fonte italiana di notizie affidabili circa quello che accadeva laggiù. Il signor tal dei tali trovò il numero, risposi io e fece una mezz’ora di rimbrotti e lamentele perchè aveva fatto una cattiva figura a causa nostra. Perchè non eravamo corretti, perchè prima di pubblicare dovevamo verificare la fonte etc etc. Spiegai che la pubblicazione aperta non era suscettibile di verifica, che non esisteva una "redazione" e che per qualunque lamentela doveva rivolgersi alle nuove possibilità che la tecnologia forniva.
Raccontata oggi, nell’epoca dei social network e dei blog in cui tutti possono scrivere tutto, nell’epoca in cui persino i giornalisti – di una lentezza incommensurabile in fatto di novità nel campo della comunicazione – capiscono che non ci può essere verifica della fonte, giacchè non si tratta di "informazione" con i doveri sanciti da chi rilascia il tesserino di iscritto all’ordine dei templari dell’informazione ma semplicemente di condivisione di notizie prese qui e la’, di diari personali su quello che si vede e si sente… raccontata oggi, dicevo, fa un po’ ridere. Tuttavia la questione mi torna in mente perchè ancora oggi in fondo i maggiori lettori dei blog, persino di un blog come il nostro, sono ancora i giornalisti alla ricerca di notizie che non sanno cercare altrove.
Capita spesso che qualcun@ lasci commenti indispettiti richiamando al dovere di fornire notizie corrette e quando noi rispondiamo che qui si raccontano storie, si chiacchiera su cose che viviamo e leggiamo, sembra quasi che non capiscano. Noi non siamo qui perchè è nostro diritto. Noi siamo qui perchè è diritto dei giornalisti che non sanno fare il proprio mestiere venire a prendere qualche pagina, una frase, un rigo per poi ripubblicarlo senza citare la fonte.
Talvolta capita che le notizie per cui basterebbe fare ricerche sul materiale documentario disponibile online nel sito della regione siciliana – per esempio – vengano attribuite a chi ne ha scritto qui e l’attribuzione serve per legittimare la lotta agli sprechi formato settentrione. La nostra autocritica ed analisi sulle questioni che riguardano la sicilia diventa materiale di denigrazione per quegli spreconi dei siciliani tutti. Giusto per favorire la versione che sostiene il parassitismo del sud ai danni del nord. Certo, ogni giornalista ha il diritto di scrivere ciò che vuole e noi abbiamo diritto a commentare, tuttavia un appunto va fatto: quando ci si riferisce a una di noi sarebbe carino citare la fonte, per completezza di informazione altrimenti non si capisce dove quella tal frase l’abbia letta. Sui muri?
Molto lusingate che lei ci legga ma la prossima volta, la prego, abbia cura di definire il contesto da cui copia i suoi virgolettati. Un articolo un po’ leghista che si sostiene anche grazie alla frase scritta da una persona che certamente leghista non è: Deontologicamente parlando è una cosa corretta o no? Il soggetto citato avrebbe il diritto di sapere dove e come sarà utilizzato il suo virgolettato o no?