da Abbatto i Muri:
Mi è capitato a volte di essere di malumore, perché un branco di cyberbull*, uomini e donne, mi insultavano, sicché vivevo poi la mia vita reale e quando c’era chi mi vuole bene a chiedermi “che ti è successo?” mi rendevo conto di quanto fosse assurdo tutto questo. Se vivi una vita normale, con i tuoi alti e bassi, gli affetti che spendono la propria giornata tentando di realizzare qualcosa di buono per se’ e chi sta loro attorno, è davvero difficile spiegare.
C’è gente che sta attaccata al computer dalla mattina alla sera, praticamente non hanno una vita, evadono costantemente la possibilità di affrontare i propri problemi, sono consumat*, depress*, cronicizzano situazioni già compromesse e quel che fanno è sfogare ossessivamente frustrazione scegliendo di volta in volta un obiettivo differente. Il loro maggiore godimento è il sangue, perciò vedi persone che campano solo di contrapposizione, non creano, non hanno molto da dire e dunque organizzano linciaggi contro quest@ o quell@ e plaudono, insultando, gonfi di livore, alla morte virtuale di qualcun@, alla sconfitta di quelle che sono persone.
Non c’è un dialogo che non si trasformi in un minaccioso contenzioso a chi ce l’ha più lungo, il potere di realizzare consenso su una impiccagione pubblica, e non parlo di una tecnica maschile ma di un modo di fare che riguarda tutt*. Non si riesce a tollerare la diversità di opinione. Non si può condurre un confronto dialettico senza un insulto, un augurio di morte, qualcosa che comunque galvanizzi persone che sembrano attivarsi solo quando c’è una rissa.
Gli esperti di marketing lo sanno: i flame sono quelli che attirano più lettori, più clienti, più assidue frequentatrici. Dai a un gruppo di gente in pasto qualcun@ riproducendo fascismi e istigando odio contro lui/lei e il popolo ti segue. C’è gente che addebita questo particolare metodo a gogne nominate di quella o l’altra fazione ma in realtà è una questione generalizzata e se anche pensi che il tuo motivo sia più nobile per insultare qualcun@ non puoi comunque nascondere il fatto che sei un@ come tant*: frustrat@, livoros@, incapace di gestire una discussione senza istigare odio o senza dirigerlo nei confronti di qualcun@.
Diversamente da quel che si pensa, poi, non è un fenomeno che riguarda solo ragazzi e ragazze perché se è vero che gli adulti dovrebbero dare l’esempio ne vedo tant* che ritengono opportuno cagare il proprio commento a segnalare il proprio astio giacché in fondo la rete è fatta spesso da soggetti che hanno un ego grande quanto il mondo e tutt* pensano che la propria opinione conti qualcosa e interessi qualchedun@.
Commenti sotto l’articolo tal dei tali, alla pagina o sotto quel link, a seguire quella discussione che trasformi in polemica feroce immaginando che il mondo intero debba tollerarlo. C’è tanta gente che ha proprio smesso di ragionare sui social network dove si immagina di poter accedere alla vita di chiunque, poterla toccare, prendersi la confidenza di mancare di rispetto a chi neppure conosci.
E’ veramente brutto e io lo so per certo perché come tant* tra voi l’ho subìto, ma come non esigerei una militarizzazione delle strade per renderle accessibili e sicure per chiunque, giacché semmai siamo noi a dover attraversare le strade e farle nostre, così giudico una sciocchezza esigere ancora più controllo e la militarizzazione del web per ragioni di “sicurezza”. Legittimare la repressione in rete perché non si sa prevenire, non si sa costruire una prassi di alfabetizzazione e confronto civile senza mettere in atto metodi squadristi da linciatori e linciatrici che vogliono vedere il sangue della persona che non ha la stessa opinione, è una resa, un fallimento, senza contare il fatto che usare i tutori e i tribunali per chiamarli a decidere su quale sia la opinione “giusta” o “sbagliata” su una determinata materia, su quanto sia opportuno insultare qualcun@ oppure no, è da incoscienti, irresponsabili, significa non certo risolvere, stemperare i toni ma semplicemente delegare il ruolo di cecchini alle istituzioni continuando dinamiche da stalking giudiziario laddove lo stalking e il cyberbullismo virtuale non sono stati sufficienti a stroncare la reputazione online o la voglia di partecipazione di qualcun@.
Nel 2014 i social network sono scenari da guerre sante con angoli in cui si cospira contro quest@ o quell@, individuando nemici da abbattere o inventandoli raccontandone i presunti altissimi gradi di pericolosità mentre chi insulta non riesce a contenere il disprezzo, segno non di una preoccupazione civile, di una rivolta morale, ma semplicemente di quel grado di enorme frustrazione di cui parlavo prima.
Cosa curiosa è che una delle ragioni per cui il cyberbullismo non si attenua è perché non si riesce ad accettare il fatto che come avviene nella vita reale si possa scegliere con chi avere a che fare. Non si può frequentare chiunque e certamente non chi ci disprezza e insulta e dunque diventa intollerabile essere apostrofati come censori nel momento in cui si adopera lo strumento di autodifesa utile che esiste nella rete: il ban. Se mi stai sulle scatole semplicemente non ti leggo né ti do confidenza. Se ti sto sulle scatole smetti di lurkarmi ossessivamente perché che tu ci creda o no il fatto di volere a tutti i costi farmi sapere che ti dispiace che io esista è già cyberbullismo.
Basterebbe semplicemente un sano rispetto per la privacy, un minimo di educazione non giustizialista sull’uso della rete e soprattutto la fine della pretesa che chiunque debba essere reperibile per tutt* e che chiunque debba comunicare con tutt*.
Una delle obiezioni che in genere arriva in questi casi è: ma se sei in rete e scrivi (se vai in giro col cervello in minigonna) non puoi sottrarti ai commenti, all’ostilità, al risentimento di chi, solo sulla base di quel che ha letto su un tuo spazio, ritiene di conoscerti, di poter permettersi il lusso di insultarti, di dirti cose che mai direbbe guardandoti in faccia, e non c’entra affatto la questione dell’anonimato in rete perché un nick name appartiene a una persona che ha un ip e dunque non è affatto anonimo. Non è l’anonimato che incoraggia l’insulto e il linciaggio, quanto l’incapacità di accettare la diversità e l’insofferenza, l’intolleranza, a ogni opinione che non sia la tua.
Ritorno sulla terra e guardo i miei affetti, persone che come me vivono giornate normali, ti svegli, esci, lavori, vivi i problemi di tutt*, ti fai un culo così e gestisci relazioni solide, superficiali, conoscenze, rapporti di lavoro, ma mai ti senti apostrofare con lo stesso disprezzo, l’acido, il livello di complottismo, l’odio immotivato che leggi sui social network.
E dunque il mio suggerimento è di imparare a essere più civili, smettere di considerare le persone in rete demoni senza una vita, affetti, problemi e famiglie, augurando loro tutto il male del mondo, perché è ovvio che ogni parola sbagliata produce sofferenze. Normale che non piaccia sentirselo dire e che difficilmente chi fa del male poi se ne assume la responsabilità e cambia atteggiamento, perché chi ha un comportamento ossessivo/compulsivo e molesto troverà sempre una ragione per continuare a sfogare odio contro qualcun@. Ma davvero bisogna adoperare tutori, svuotarsi le tasche, in questa epoca di precarietà, per delegare a un tribunale qualcosa di così ovvio? Davvero chi immagina di voler distruggere qualcun@ non sa trovare un senso diverso alla propria vita? E davvero chi ha una vita fatta di problemi, personali, familiari, professionali, di vario tipo, dovrà infine essere consegnat@ o consegnare alla “legge” l’incapacità di gestire un comportamento che deve essere civile?
Le strade sono fatte da chi le attraversa. Se vuoi che siano migliori comincia da te, fai in modo da comportarti meglio ed essere consapevole che dietro ogni nick, ogni nome in rete, c’è una persona. Le strade reali o virtuali le realizzi tu senza bisogno di sorveglianti, telecamere che spiano continuamente la tua incapacità di autogestirti e il tuo bisogno di delegare ad altr* una responsabilità che dovresti sentire tua. Se non ti sta bene che in rete si insulti allora comincia dal tuo spazio, vedi di non ammettere insulti, disprezzo, odio, qualunque sia la “ragione” per cui viene diffuso. Io, nel mio piccolo, l’ho fatto. Non ammetto flame, insulti contro nessun@, sul blog, su facebook, ovunque, perché rendere politicamente agibile uno spazio, davvero aperto al confronto, è responsabilità di chi quello spazio lo abita, lo gestisce e lo usa. Così diventa un luogo in cui si può discutere per davvero.
Autogestisci i tuoi spazi, rendili migliori. Non delegare e non farti militarizzare. Ecco tutto.
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