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Vandana Shiva: la connessione tra politica economica globale e violenza contro le donne

In questo post vi propongo la lettura dell’articolo di Vandana Shiva: The Connection Between Global Economic Policy and Violence Against Women. Il testo tratta dei recenti stupri di gruppo in India. Vandana Shiva è un’ecofemminista indiana, nota soprattutto per la sua critica ai processi di globalizzazione, appare spesso come voce di riferimento per l’India. Nell’articolo fa risalire l’aumentata violenza degli ultimi tempi con l’avanzata capitalista.  Se è difficilmente confutabile questa connessione, per chi non vive nella società indiana, e anzi ci sembra chiara la relazione tra violenza e capitalismo, appaiono però  discutibili altri concetti espressi nell’articolo, quali principalmente: l’identificazione della donna con la terra e il richiamo ad un intervento autoritario in difesa della democrazia, quale forma di tutela delle donne come custodi della natura stessa. Idee che rimandano a un tipo di femminismo essenzialista, in cui le differenze di genere sono il risultato di una specificità intrinseca del maschile e del femminile, una concezione che appare ormai in molti contesti chiaramente frutto di quello stesso patriarcato proprio del capitalismo. Per queste riflessioni vi rimando al post successivo, con le considerazioni che sono state espresse nel collettivo sull’articolo.
La mia traduzione è sicuramente imperfetta, per questo mi scuso in anticipo, le note e le parentesi sono mie. L’articolo originale si trova qui.

Vandana Shiva: la connessione tra politica economica globale e violenza contro le donne

La valorosa e coraggiosa vittima dello stupro di gruppo di Delhi ha esalato l’ultimo respiro il 30 dicembre 2012. Questo articolo è un omaggio a lei e alle altre vittime della violenza contro le donne.

La violenza contro le donne è antica quanto il patriarcato. Ma si è intensificata ed è diventata più pervasiva nel recente passato. Ha assunto forme più brutali, come quella che ha provocato la morte della ragazza vittima di stupro di gruppo a Delhi, e il suicidio della diciassettenne, anch’essa vittima di stupro a Chandigarh.

I casi di stupro e i casi di violenza contro le donne sono aumentati nel corso degli anni. Il National Crime Records Bureau (NCRB) ha riportato 10.068 casi di stupro nel 1990 che sono aumentati a 16.496 nel 2000. Con 24.206 casi nel 2011, i casi di stupro hanno subito un incredibile aumento del 873% dal 1971, quando NCRB ha iniziato a registrarli. E la città di New Delhi è emersa come la capitale dello stupro in India, con una percentuale del 25 % dei casi.

I contributi delle donne

In primo luogo, il modello economico incentrato in maniera miope sulla “crescita” comincia  già con una violenza contro le donne, attraverso il disconoscimento del loro contributo all’economia.

Più il governo parla fino alla nausea di “crescita inclusiva”[1] e “inclusione finanziaria”[2], tanto più si esclude il contributo delle donne all’economia e alla società. Secondo modelli economici patriarcali, la produzione per il sostentamento viene valutata come “non-produzione. Così la trasformazione del valore in disvalore, il lavoro in non-lavoro, la conoscenza in non-conoscenza, è raggiunto attraverso la più potente cifra che regola le nostre vite, il costrutto patriarcale del PIL, prodotto interno lordo, che i commentatori hanno cominciato a chiamare il Problema Interno Lordo.

Il movimento per fermare questa violenza deve essere sostenuto finché giustizia sia fatta per ognuna delle nostre figlie e sorelle violate.

E mentre noi intensifichiamo la lotta per la giustizia verso le donne, dobbiamo chiederci anche perché i casi di stupro sono aumentati del 240% dagli anni Novanta, da quando le nuove politiche economiche sono state introdotte. Abbiamo bisogno di esaminare le radici della crescente violenza contro le donne.

Può esserci una connessione tra l’aumento del numero dei violenti, le imposizioni antidemocratiche, le ingiuste e inique politiche economiche e la crescita dei crimini contro le donne?

Credo ci sia.

I sistemi di contabilità economica nazionale utilizzati per il calcolo della crescita del PIL si basano sull’assunto che: se i produttori consumano ciò che essi stessi producono, allora non producono affatto, perché essi fuoriescono dalla frontiera delle possibilità produttive (o curva di trasformazione).
La frontiera delle possibilità produttive è una creazione politica che, nel suo funzionamento, esclude i cicli produttivi rigenerativi e rinnovabili dall’area di produzione stessa. Pertanto, tutte le donne che producono per le loro famiglie, i bambini, la comunità e la società sono trattate come “non produttive” e “economicamente” non attive. Quando le economie sono limitate al mercato, l’autosufficienza economica è percepita come carenza economica. La svalutazione del lavoro delle donne e del lavoro svolto in economie di sussistenza nel Sud del mondo, è l’esito naturale della frontiera delle possibilità produttive costruita dal patriarcato capitalista.

Limitandoci ai valori dell’economia di mercato, come viene definita dal patriarcato capitalista, la frontiera delle possibilità produttive ignora il valore economico nelle due economie vitali necessarie alla sopravvivenza umana ed ecologica. Sono i settori dell’Economia della natura[3] e dell’Economia di sostentamento. Nell’Economia della natura e nell’Economia di sostentamento (o di sussistenza), il valore economico è la misura di come la vita della terra e la vita umana vengono protetti. La sua moneta sono i processi vitali, non il denaro o il prezzo del mercato.

In secondo luogo, un modello di patriarcato capitalista che esclude il lavoro delle donne e la creazione di ricchezza mentale, aggrava la violenza attraverso la rimozione delle donne dai loro mezzi di sussistenza e alienandole dalle risorse naturali, dalle quali dipende la loro sopravvivenza – la loro terra, le loro foreste, la loro acqua, i loro semi e la biodiversità. Le riforme economiche basate sul concetto di crescita illimitata,  in un mondo limitato, possono essere mantenute solo dai potenti, arraffando le risorse dei più deboli. Arraffare le risorse è essenziale per la “crescita”, crea una cultura dello stupro – lo stupro della terra, delle economie locali autosufficienti, lo stupro delle donne. L’unico modo in cui questa “crescita” può essere “inclusiva” è attraverso l’inclusione di un numero sempre maggiore di soggetti nel circolo della violenza.

Ho più volte sottolineato che lo stupro della Terra e lo stupro delle donne sono intimamente legati, sia metaforicamente nel plasmare visioni del mondo, sia materialmente nel plasmare la vita quotidiana delle donne stesse. L‘ aggravamento della vulnerabilità economica delle donne le rende più vulnerabili a tutte le forme di violenza, inclusa la violenza sessuale, come abbiamo scoperto nel corso di una serie di incontri pubblici sull’impatto delle riforme economiche sulle donne, organizzata dalla National Commission on Women e la Research Foundation for Science, Technology and Ecology.

Sovversione dell’ordine democratico

In terzo luogo, le riforme economiche portano alla sovversione dell’ordine democratico e alla privatizzazione delle amministrazioni. I sistemi economici influenzano i sistemi politici. Il governo parla di riforme economiche, come se nulla avessero a che fare con la politica e il potere. Si parla di tenere la politica fuori dall’economia, anche quando si impone un modello economico plasmato dalla politica di un particolare genere e di una particolare classe. Le riforme neoliberiste complottano contro la democrazia. Lo abbiamo visto recentemente con le amministrazioni che spingono per delle ‘riforme’ che permettano investimenti esteri diretti nella vendita al dettaglio attraverso i Walmart.

Le riforme guidate dalle multinazionali creano una convergenza o potere economico e politico, l’aggravamento delle disuguaglianze e un crescente allontanamento della classe politica dalla volontà delle persone, che essi sono chiamate a rappresentare. Questo è alla base di quella disconnessione, tra politici e persone, che abbiamo sperimentato durante le proteste sorte da quando c’è stato lo stupro di gruppo a Delhi.

“Una economia di mercificazione crea una cultura della mercificazione, dove tutto ha un prezzo e niente ha valore.”

Peggio ancora, una classe politica alienata ha paura dei propri cittadini. Questo spiega il crescente utilizzo di forze di polizia per schiacciare le proteste non-violente dei cittadini come abbiamo visto a New Delhi. O nella tortura di Soni Sori a Bastar. Oppure, con l’arresto del Dayamani Barla a Jharkhand. O le migliaia di casi contro le comunità che lottano contro la centrale nucleare di Kudankulam. Uno Stato-Azienza privata, rapidamente diventa uno stato di polizia.

È per questo che i politici devono circondarsi di sempre maggiore security, deviando la polizia dalle loro funzioni importanti per proteggere le donne e i semplici cittadini.

In quarto luogo, il modello economico plasmato dal patriarcato capitalista si basa sulla mercificazione di ogni cosa, comprese le donne. Quando abbiamo interrotto la Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio a Seattle, il nostro slogan era “Il nostro mondo non è in vendita”.

Una economia di deregolamentazione del commercio, di privatizzazione e mercificazione di semi e prodotti alimentari, terra e acqua, donne e bambini scaturita dalla liberalizzazione economica, degrada i valori sociali, aggrava il peso del patriarcato e intensifica la violenza contro le donne.

I sistemi economici influenzano i valori culturali e sociali. Una economia di mercificazione crea una cultura della mercificazione, dove tutto ha un prezzo e niente ha valore.

La crescente cultura dello stupro è una ricaduta sociale delle riforme economiche. Abbiamo bisogno di istituzionalizzare controlli sociali delle politiche neo-liberiste, che sono uno strumento centrale del patriarcato nei nostri tempi. Se ci fosse un controllo sociale delle aziende nel nostro settore delle sementi, 270.000 agricoltori non sarebbe stati spinti al suicidio in India, da quando le nuove politiche economiche sono state introdotte. Se ci fosse un controllo sociale della privatizzazione del nostro cibo e dell’agricoltura, non avremmo un indiano su quattro alla fame, una donna su tre malnutrita e un bambino su due sciupato e rachitico a causa della grave malnutrizione. L’India oggi non sarebbe quella Repubblica della fame di cui il dottor Utsa Patnaik ha scritto.

La vittima dello stupro di gruppo a Delhi ha innescato una rivoluzione sociale. Dobbiamo sostenerla, intensificarla, espanderla. Dobbiamo chiedere e ottenere giustizia rapida ed efficace per le donne. Dobbiamo chiedere processi veloci per condannare i responsabili dei crimini contro le donne. Dobbiamo fare in modo che le leggi vengano modificate in modo che la giustizia non sia ambigua per le vittime di violenza sessuale. Dobbiamo continuare a chiedere la lista nera dei politici con precedenti penali.

E mentre facciamo tutto questo, abbiamo bisogno di cambiare il paradigma dominante che ci è imposto in nome della “crescita” e che sta incrementando i crimini contro le donne. Porre fine alla violenza contro le donne comprende l’andare oltre l’economia violenta plasmata dal patriarcato capitalista verso economie pacifiche e non-violente, che rispettino le donne e la Terra.

Vandana Shiva è una fisica, ecofemminista, filosofa, attivista e autrice di più di 20 libri e 500 articoli di giornale. E’ la fondatrice della Research Foundation for Science, Technology and Ecology, e ha promosso una campagna per la biodiversità, la conservazione e i diritti degli agricoltori – vincendo il Right Livelihood Award (Premio Nobel Alternativo) nel 1993.


[1] Per crescita inclusiva, generalmente, si intende la  parità di accesso al mercato per tutti i soggetti che, quindi, partecipando al mercato del lavoro parteciperebbero anche ai guadagni.

[2] Per inclusione bancaria, generalmente, si intendono tutte quelle attività bancarie che permettono ai soggetti, non ancora sviluppati economicamente, di entrare, attraverso servizi elementari, nel sistema finanziario con crediti, risparmi, fondi, accoglienza in sede.

[3] Nel concetto di Economia della natura, generalmente, si intende l’interdipendenza di tutti gli elementi in un sistema complesso interagente.

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