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Antifascismo viola: contro le immagini sessiste servono nuove strategie culturali e forme di autodifesa!

L’antifascismo viola è anche un lavoro di ricerca sulla comunicazione, sulla propaganda che precede la costruzione di culture naziste, razziste, sessiste. E’ quell’analisi che ti rende chiaro come ogni forma di comportamento umano può anche essere indotto perché tutt* noi siamo oggetto costante di persuasione. Siamo vittime delle tecniche di comunicazione di massa. Siamo vittime di quelli che hanno pagato le ricerche di quel ramo della psicologia dedicata agli atteggiamenti e alle opinioni, solo per capire come meglio influenzare quegli atteggiamenti e quelle opinioni.

Siamo vittime spesso ir-responsabili perché ogni volta che ci lasciamo influenzare da quello che ci viene imposto smettiamo di essere individui e diventiamo semplicemente parte di un esercito al servizio di pochi autoritari soggetti.

La prima forma di antifascismo, necessaria, ci sembra sia quella che condivide con chiunque gli strumenti per comprendere quali siano i meccanismi che portano un qualunque media a darvi una notizia in un modo piuttosto che in un altro.

Cosa si nasconde dietro alle parole. Cosa si vuole dire con accenni apparentemente innocenti. E non si tratta di rivelare cose che possono essere più o meno evidenti ma di vedere chiaramente quale sia il nesso tra anni di propaganda e la cultura che ne consegue.

Tanto per farla breve, perché di analisi della comunicazione ne facciamo più o meno ogni giorno, diciamo che le tecniche di comunicazione di massa, la psicologia delle attenzioni e delle opinioni, sono quelle che vi raccontano meglio di altre discipline come al centro di tutta la questione ci siano gli uomini, le donne, i loro problemi, la loro affettività, le loro emozioni.

E’ un gioco perverso che punta innanzitutto a immiserire l’essere umano e a riprogrammarlo fornendo stimoli che toccano comunque molle emotive.

La rabbia, l’odio, il desiderio, la passione, la tenerezza, l’affettività, la solitudine, e altro ancora. Sono questi alcuni tra i riferimenti sui quali punta la comunicazione per farvi fare quello che altri vogliono. Per rendervi schiavi. Per rendervi complici di atti terribili.

Uno degli studi più nefasto sull’uso delle tecniche di comunicazione fu fatto proprio dai nazisti e se ne servirono per veicolare concetti e costruire un immaginario che resiste e si impone ancora oggi.

Chi vi rincoglionisce di messaggi subliminali, vi condiziona, vi tortura con stratagemmi di una bassezza indicibile per farvi diventare marionette al suo servizio non si preoccuperà di dotarvi di strumenti che vi permettano di scegliere liberamente da che parte stare. Perché una delle cose essenziali da fare è quella di costruire un patrimonio condiviso di saperi che ci permettano di scegliere in qualunque situazione a prescindere da quale nome abbia e da quale sia il tipo di autoritarismo che si presenta ciclicamente in ogni fase della storia.

Il fascismo solitamente mette a tacere i saperi condivisi. Odia ogni forma di condivisione dei saperi. Usa la censura per spegnere le voci critiche. Ciò che non può direttamente condizionare vuole semplicemente ucciderlo.

Lo vediamo in ogni piccola e grande cosa, inclusa la pratica nazista dei neomaschilisti che tentano di influenzare direttamente i vostri giudizi su cosa sia un uomo violento o meno e ciò che non riescono a inquinare vogliono semplicemente chiuderlo, lo ricattano, lo minacciano, lo intimidiscono, lo clonano, vogliono farlo sparire.

Il fascismo non tollera che vi sia qualcun@ che possa svelare i trucchi del mestiere. Ciò che si tollera, e non a caso si alimentano a vicenda, è la presenza di altre fonti di informazione chiaramente faziose. Due poteri l’uno contro l’altro che usano le stesse tecniche e che non propongono ai lettori di pensare. Chiedono soltanto di aderire dogmaticamente ora all’una ora all’altra presunta verità.

E’ l’errore fatto anche dalla comunicazione militante che pretende di ottenere gli stessi risultati rifiutandosi di modificare il proprio linguaggio e utilizzando esattamente gli stessi meccanismi per quanto dicono cose che sicuramente noi condividiamo.

Prendiamo ad esempio quello che avviene intorno alle immagini sessiste.

I corpi vengono usati per vendere qualunque prodotto. Per ogni corpo usato c’è la riproposizione di un modello da seguire, un modello femminile che non ci somiglia e che tuttavia ci fa sentire inadeguate perché è a quello che dovremmo somigliare, secondo i gusti e le preferenze maschili.

Tante immagini ci offendono, fanno parte di quella propaganda che costruisce un immaginario e l’unica alternativa plausibile sembrerebbe essere quella della censura.

Ma così facendo ci muoviamo sempre e comunque nella riproduzione di metodi che restano nello stesso schema. Potere e controllo. Delega e vittimizzazione.

Ogni pratica ovviamente è più che auspicabile e degna di rispetto. Ciò che non ci convince è il fatto che bisogna rivolgersi ad entità superiori legittimandone il potere che possono usare per ritenere illecita oggi l’immagine della donna usata come poggia lavandino e domani la pubblicità dell’unione agnostici atei razionalisti italiani (Uaar) che diceva “Dio non esiste”.

Ciò che non ci convince è il fatto che bisogna avallare posizioni fasciste che parlano di decoro, gonne allungate, corpi imbalsamati e coperti, donne che se si vestono in un certo modo meritano uno stupro, eccetera eccetera, e che in qualche modo concludono che quelle donne che mostrano il corpo e che guadagnano lo stipendio facendo le modelle o altre cose del genere siano “colpevoli”.

Crediamo non sia un caso se un sindaco romano si sia sentito in diritto di rimuovere manifesti pubblicitari offensivi che mostravano una scena preliminare ad un amplesso e invece non abbia sentito alcun bisogno di rimuovere alcunché quando su mille muri della stessa città erano affissi i manifesti di un gruppo di estrema destra che mostravano un corpo di donna sul quale era scritto che apparteneva alla patria, all’uomo, al fratello, al marito, al padre.

La campagna contro la strumentalizzazione dei corpi sta tutelando le donne o rischia di favorire la legittimazione ad un atteggiamento sessuofobico tanto caro alle militanze catto-fasciste?

E se quei corpi sono offesi perché evidentemente strumentalizzati non è ancora più grave che si dia modo di pensare che l’unico modo che si ha per tutelarli è affidarli ad un sindaco (fascista o meno), ad un ente superiore o addirittura allo stato?

Ci offende di più essere corpi offesi in una immagine o corpi di proprietà dello stato?

E non è forse questo che il governo ci impone da quando è in carica riproponendo più e più volte lo schema che ci vuole madri, incubatrici, mogli, contrarie all’eutanasia, vive anche se non lo vogliamo, comunque sia di proprietà del ministero sacconi & roccella?

Ci rende dunque felici affidarci alla difesa di una autorità forte che allo stesso tempo ci priva della nostra autodeterminazione e ci mortifica in mille altri modi?

Non è forse il concetto stesso di proprietà e di legittimazione della forza superiore, tutta maschile, alla quale affidarci, che resta l’origine di ogni forma di schiavitù culturale e fisica delle donne?

Oggi ti levano dalle ovaie una immagine per la strada e domani ti costringono a fare cose che mai e poi mai vorresti fare. Oggi coprono un manifesto che mostra i glutei di una donna che pubblicizza uno slip e domani ti umiliano controllando la tua sessualità, dicendo che mai e poi mai tu devi essere lesbica.

Oggi ti consegni alla tutela di una security dell’immagine e domani ti becchi gli insulti della polizia che ti ferma alle tre di notte, di ritorno da una festa, e ti dice che sei una incosciente e che rendi difficile il loro lavoro perché vai vestita leggera e le brave ragazze a quell’ora stanno già a letto.

Noi siamo perfettamente coscienti di questo meccanismo e ogni volta che abbiamo parlato di una immagine offensiva, includendo quelle che sembrano non offendere tante ma che offendono noi ogni volta che i corpi delle donne sono usati per veicolare messaggi autoritari, razzisti, fascisti, più politici in senso generale, abbiamo anche specificato che l’obiettivo non è quello di allungare le gonne, ne di censurare alcunché.

E’ proprio in quella fase che immaginiamo debba esprimersi una delle tante forme di autodeterminazione. Ci piace pensare alle donne come soggetti attivi, che non si attivano esclusivamente per delegare ad altri la soluzione di un problema, ma che si riappropriano dei loro corpi e li mettono in scena per opporli ad una immagine imposta, nazista, condita di ruoli umilianti, che ci obbligano ad interpretare ogni giorno.

E’ nostro il corpo, è nostra la sessualità, sono nostre le immagini, sono nostri perfino i film porno. E arrivare al postporno, quello che rinuncia a censurare il porno ma se ne appropria introducendovi dettagli che riflettono la sessualità femminile senza riprodurla attraverso stereotipi maschili, è abbastanza semplice.

Quello che vogliamo dire è che è fondamentale l’obiettivo che ci poniamo ed è fondamentale individuarlo cogliendo tutte le possibili sfumature avendo piena consapevolezza di quello che stiamo facendo e di ciò che vogliamo ottenere.

Quello che noi vogliamo ottenere, per esempio, è la libertà di mostrare il nostro corpo senza essere stuprate. Vogliamo vestirci come ci pare. Vogliamo spogliarci quando ci pare. Vogliamo non appartenere ne’ agli uomini né allo Stato. Vogliamo vivere le nostre relazioni senza regalare a nessun@ il diritto di controllarci e censurarci. Vogliamo sentirci belle perché siamo belle. In qualunque modo, per qualunque misura, per qualsiasi taglio di capelli, look, lineamento, strato di pelle. Vogliamo smettere di subire la costrizione di una estetica dominante che presenta in pubblico soltanto modelli patinati, levigati con Photoshop, falsi, che non ci rappresentano, che non somigliano a nessuna di noi.

Vogliamo essere libere, esprimere sorellanza mettendo in comune i nostri dubbi e le nostre incertezze. Vogliamo che la fragilità non sia censurabile. Che i corpi delle donne mostrino i segni del tempo, della fatica, di ogni emozione che vivono, di ogni lavoro svolto, delle maternità, delle passioni, delle sensualità.

Vogliamo vedere scene di nudo, di sesso, che ci rappresentino per davvero e dato che nessuno le riproduce e che quelle che vengono riscritte e proposte secondo una nuova luce vengono perfino censurate perché ogni azione critica non è funzionale al mercato degli autoritarismi allora le riproduciamo noi.

Quelle immagini che voi vedete nelle città sono uno straordinario veicolo per dire di voi ciò che siete. Basta sovvertire quelle immagini. Basta farle diventare tante piccole grandi lavagne dove potete appiccicare o scrivere quello che volete. Quello che volete che altri leggano e sappiano di voi.

Perché bisogna fare attenzione alle opinioni e agli atteggiamenti che formiamo e legittimiamo, proprio perché noi sappiamo che ogni cultura si costruisce e si legittima. Proprio perché non vogliamo avere nulla a che fare con le spinte ipocrite e propagandistiche che possono essere funzionali oggi al sindaco romano e domani alla ministra alle pari opportunità alla quale viene concesso il patentino della censura su cosa sia offensivo per le donne e cosa invece non lo è. E naturalmente, secondo il suo parere, quello che fa il premier non lo è.

Capite qual è il rischio? Capite perché è necessario guardare più lontano per raggiungere obiettivi che non ci strumentalizzino ancora e non ci rendano prigioniere di altri fascismi?

Noi vogliamo liberare le donne e non costringerle. Noi vogliamo che le donne possano mostrare i propri corpi senza vergognarsene, senza sentirsi sbagliate, difettose, inadeguate, senza che vi sia sempre impresso lo stigma della colpa, senza che i tanti talebani della cultura maschilista possano mai vincolarci ai centimetri di gonna da mettere per tenere sotto controllo il LORO desiderio con il quale hanno un rapporto frustrante, umiliante, colpevole.

Noi vogliamo liberare i nostri corpi, sottrarli a chi vuole farli diventare funzionali a questo e a quel messaggio promozionale.

Vogliamo liberare le nostre espressioni, i nostri pensieri, le nostre vite.
Possiamo cominciare a partire dalla liberazione dei nostri culi. Per il resto fate voi.

http://femminismo-a-sud.noblogs.org/gallery/77/yes%20we%20can.jpg

—>>>Per la prima immagine grazie a Fastidio. Per la seconda grazie alla Fatina Viola 🙂

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