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L’arte di badare ai vecchi

[Foto da Riotclitshave]

Le domeniche di novembre sono quasi tutte uguali. Per Pinuccia, Giuseppa, per gli amici Giusy, in effetti non c’è domenica.

Esce la mattina presto. Va alla casa della signora Bottini. Aiuta a rassettare, prepara il necessario per il pranzo, accudisce il vecchio di famiglia.

L’anziano è pesante e non aiuta per niente. Deve fare tutto lei. Girarlo, cambiarlo, vestirlo, imboccarlo, consolarlo. D’altronde la pagano per questo. Non può lamentarsi. Neanche quando lui se la fa addosso mentre lei lo sta spostando. Per fortuna ha i guanti in lattice. Ma la puzza? Cosa può ripararla dalla puzza?

La vita di Pinuccia non era mai stata semplice. Sua madre lavorò per curare suoceri e genitori. Della pulizia ne faceva un punto d’orgoglio. Se i vecchi apparivano trascurati qualcuno se la sarebbe presa con lei, non con il marito. Perciò insegnò a Pinuccia come si cresce e si diventa schiave.

Qui da noi il nepotismo è una cosa che vale per le donne. Schiava la madre e schiava anche la figlia. Difficile emanciparsi se non c’è nessuno che te lo permette.

Vedrai, le diceva la madre, hai già un mestiere nelle mani. Puoi guadagnarti il pane che ti darà tuo marito e quello che ti faranno comprare altri vecchi che tu tratterai bene. Sulla vecchiaia puoi sempre contare. La vecchiaia è un lavoro che non finisce mai. Hai un futuro assicurato.

Pinuccia non sapeva, quando era piccola, che quella che la madre spacciava come l’arte del badare ai vecchi, era una maledetta trappola dalla quale non sarebbe potuta uscire mai.

Provò a farlo, una volta, tentando di stravolgere il senso di quel detto a proposito del frutto che non cade lontano dall’albero. Ma la schiavitù delle donne è così. Se qualcuno ti mette un anello al collo, sei segnata per sempre. Non ne esci più. E semmai pure riuscissi a uscirne la pena sarà l’isolamento sociale e la disoccupazione.

Pinuccia prese il diploma di terza media e poi si iscrisse al liceo. La madre acconsentì perché comunque per badare i vecchi era meglio essere istruite.

Ah, se lei avesse saputo leggere in modo fluente. Per ogni pagina letta quel vecchio l’avrebbe pagata qualche soldo in più. Ah se lei avesse saputo fare conversazione, quella famiglia di ricchi l’avrebbe tenuta anche per badare ai bambini.

L’istruzione di Pinuccia finì alla terza superiore, perchè capì che in ogni caso di un diploma non se ne sarebbe fatta niente. Tutte le dicevano che era inutile studiare, di lavoro non ce n’è e l’unico modo per sopravvivere era quello di conoscere un’arte. Proprio come le diceva sua madre. L’arte di essere schiave senza proferire un lamento.

La carriera di Pinuccia fu rapida e si assestò su un pagamento decoroso che le consentiva di sopravvivere senza problemi.

Sposò un certo Filippo che le aveva promesso di farle fare la signora. All’inizio lui era una specie di salvatore delle artiste della schiavitù. Le baciava le mani e le diceva che non avrebbe più dovuto faticare. Poi a quelle mani chiese di lavorare giorno e notte senza sosta e Pinuccia capì che schiava per schiava era sempre meglio farlo per estranei invece che per un marito che alla sera pretendeva anche di goderle addosso tra lividi e insulti.

Lo lasciò senza portare niente via con sé. Prese la borsa, le scarpe comode, un paltò e andò a bussare dalla signora Marcella che aveva una stanza libera in cambio di attenzione per suo padre anziano.

Pinuccia si trasferì presto in un piccolo bivani alla periferia del paese. Capiva fino in fondo che l’emancipazione da una schiavitù passava per mille altre forme di schiavitù. Che fin quando non c’è nessuno a cambiare le regole per dare opportunità e prospettive a chi vuole servirsene per andare avanti le cose sarebbero andate sempre allo stesso modo. Si convinse che il mondo desiderava proprio che quelle come lei rimanessero così, per sempre, senza possibilità.

Mesi fa fa Pinuccia iniziò a vedersi con una collega, di quelle straniere, per fare una passeggiata e parlare dei loro destini già segnati.

Lei non temeva la concorrenza, perché era brava e a buon mercato. Pinuccia era conosciuta e anzi erano tante quelle che andavano a chiedere consiglio da lei. Perché anche nelle schiavitù ci sono delle gerarchie.

Soprattutto si ritrovava con tante giovani donne in cerca di una identità. Donne che avevano perso il senso delle cose. Dopo aver ascoltato quelli che dicevano che per loro c’erano grandi possibilità, dopo aver studiato, non sapevano più chi fossero.

Pinuccia si reputava fortunata, perché lei sapeva chi era. Molte altre invece erano schiave mancate che prima o poi sarebbero tornate a fare il mestiere per cui erano state addestrate.

E’ tutta una illusione, diceva Pinuccia. Non era vero niente. L’amore, lo studio. Non c’era nulla che in realtà l’avesse aiutata a prendere una strada diversa.

Qualcuno le aveva proposto di aprire una agenzia per il reclutamento delle badanti. Questa avrebbe potuto essere la sua via per l’emancipazione. Ma Pinuccia non volle mai fare soldi sulla pelle di altre donne, specialmente se bisognava importarle da altre nazioni, in una moderna tratta delle schiave uguale a quella vecchia. Pinuccia sapeva che il capo delle schiave restava comunque una schiava.

Per Pinuccia, Giuseppa, per gli amici Giusy, la domenica è un giorno come un altro.

Esce la mattina presto. Va alla casa della signora Bottini. Aiuta a rassettare, prepara il necessario per il pranzo, accudisce il vecchio di famiglia.

Ma quella mattina no. Pinuccia all’ultimo momento decise di fare un’altra strada.

La trovarono sulla tomba della madre. Un biglietto lì vicino. “So già tutto. E non mi daranno neppure la pensione!”

Sul volto, l’espressione divertita di un disertore.

—>>>E’ una storia di pura invenzione. Qualunque riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale!

Posted in Corpi, Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Precarietà.