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#Francia, video #antiviolenza e la condivisione acritica di contenuti reazionari

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da Abbatto i Muri:

Succede che tre giorni fa, più o meno, alcune di noi cominciano a mostrare insofferenza perché circola un video riproposto su siti e blog femministi, veicolato da pagine sedicenti femministe, e l’aria inquisitoria è talmente pregna di giudizi sanzionatori che spingono all’autocensura al punto che si fa attenzione a fare emergere una critica che pure è ovvia. Per chi ha fatto studi di genere o per chi si occupa da anni di questioni di genere e comunicazione non è possibile non vedere quali messaggi reazionari si nascondano dietro immagini, video, articoli, post che vorrebbero parlare di violenza sulle donne ma in realtà usano il tema per veicolare messaggi di altro tipo. Siamo in Francia, è il luogo neocolonialista per eccellenza, classista, razzista, moralista e autoritaria nella maniera di definire un presunto femminismo che usa le lotte delle donne vittimizzandole, sovradeterminando i soggetti, imponendo criminalizzazioni e stigmi, prima sul velo, poi sulla prostituzione, ed è così chiaro che il messaggio complessivo che ne viene fuori è discriminatorio che non dovrebbe neppure esserci il bisogno di spiegarlo.

Però anche l’Italia è sotto effetto del contagio, per cui basta nominare le “donne” e metterci dentro qualcosa che rappresenti la violenza e tutte quante condividono, cliccano like, senza consapevolezza, senza capirci granchè.

Tre giorni fa si inizia una discussione e il mumble mumble assai perplesso diventa uno studio collettivo, una ricerca, che approda in una traduzione, un post, ora in questa sintesi, perché questo lavoro, questo sforzo generoso, per condividere saperi, va raccontato, riconosciuto, a fronte di chi lo invisibilizza, lo disconosce scientemente o lo classifica perfino come un andar contro quella che sarebbe la vera lotta in favore delle donne.

Guardiamo il video, io, La PantaFika, Agnes, Natalina, Natalia, Silvia, Letz Dib, altre. Risulta chiaro che (e sintetizzo i commenti):

– presenta una vita stereotipata secondo la narrazione paternalista corrente. tra l’altro uno che va a correre mentre tu svolgi lavori di cura non so dove lo trovano. in genere io vedo uomini che vanno a fare la spesa o vanno a lavorare. altro che jogging.

– mi pare che sta tutto dentro la dicotomia uomo/donna e io di questo “ribaltamento di ruoli” che non va oltre la dicotomia non so che farmene, cioè non lo trovo utile, anzi

– è una visione borghese. davvero. la corsetta in jogging a un operaio che si alza alle 6 del mattino non so dove la trovi. che film hanno visto? mah.

– se si parla di target, forse qualche conto in più torna. nel senso, se è pensato per un primissimo approccio al problema è un conto. ma il problema vero sono i dialoghi. quello finale tra lui e lei è raccapricciante.

– e perché… della categoria del ladro/stupratore in strada vogliamo parlare? migrante, povero, tamarro? la categoria di gente che rovina le belle abitudini della brava gente borghese? è pure razzista, il video.

– passano dalla critica neocoloniale della hijab allo slittamento semantico di maschilismo e femminismo come se fossero la stessa cosa applicata a due generi diversi.

– non a caso ho interrotto proprio nel punto del tipo con lo hijab, senza nemmeno pensarci troppo, a dire la verità. è proprio una narrazione in cui non mi riconosco, che non mi appartiene, sicuramente neocoloniale.

– Il problema è che dà per scontato il fatto che gli insulti o gli apprezzamenti agli uomini non vengano rivolti. Al minuto 5  lui si ritrova a rispondere alle aggressioni delle tipe, io credo che se un soggetto possa essere identificato come “debole” anche se maschio (magari una persona grassoccia, o un ragazzino magrolino), se in un certo contesto si sono interiorizzate un certo tipo di dinamiche di sopraffazione del “soggetto debole” queste vengono riproposte utilizzando un altro pretesto che non sia il sesso. E questo vale mica solo per strada, ma anche se a minacciarti sono persone a te vicine, che mi pare che i dati confermino essere i casi più frequenti. Da lì ho iniziato ad andare più veloce perché quell’accento posto sul clima di terrore che ti attanaglierebbe nei vicoletti l’ho trovato per qualche ragione disturbante. Non mi piace questo senso di “fato predeterminato” che pervade la produzione. Non ho trovato inverosimile che nella vita reale il superiore donna possa sfruttare il suo subordinato e fargli i complimenti per come è vestito, il problema sta nel fatto che lei si senta legittimata di farlo perché superiore, non tanto perché donna. Non so se mi sono spiegata. Poi non ho capito il pezzo del velo: velatamente mi sembra che il produttore critichi l’autodeterminazione delle donne nell’indossarlo. Ma se una/o ha scelto, per qualsiasi ragione, ha scelto (e per qualsiasi ragione potrà decidere di revocare la sua scelta, sia pur scegliendo di combattere). Non sono andata oltre perché l’ho trovato, come dire…manicheo…

– oltre al razzismo (il bianco che sollecita il nero troglodita e fondamentalista religioso a togliersi il velo), davvero un classismo stomachevole (le bulle tamarre per strada che importunano il bravo genitore a spasso con la carrozzina). ma chi l’ha fatta sta porcheria di video finto progressive?

E questi erano alcuni dei nostri commenti. Dopodiché, avvolte dal silenzio più totale, continuiamo a vedere la condivisione acritica del video, e dobbiamo trovare conferma alle nostre parole, come sempre più spesso avviene, dove non vige il pensiero unico in pseudo/femministese e la dialettica è un minimo più ricca. Un articolo su The Guardian (QUI tradotto in italiano da La Pantafika) dice sostanzialmente le stesse cose che dicevamo noi. Le dice anche meglio. Agnes poi sintetizza (QUI il suo splendido post) tutta la parte che riguarda proprio l’aspetto della comunicazione, a proposito del subvertising che invece che scardinare riconferma e legittima prassi di oppressione. Parliamo del fatto che nel video sono presenti “classismo e razzismo, oltre ad una palpabile misoginia“. E questa è, in tutto e per tutto, la rappresentazione della Francia neocolonialista, la stessa che cala in senso autoritario la propria visione morale sul mondo raccontando che solo quello può essere femminismo. Da ricordare che la Francia ha ancora le colonie nei Caraibi e poi vuole dare lezioni di uguaglianza e parità alle altre, tipo quelle che portano il velo…

Termino dunque invitando tutte a fare attenzione al fatto che un femminismo che non ragiona sulle intersezioni, che usa certi argomenti semplicemente per spostare l’attenzione, per allontanare o rimuovere il giudizio critico su altri sistemi di oppressione, riconfermandoli, consolidandoli, partecipandoli ampiamente, non può attendersi una adesione acritica da parte di nessuna. Sicuramente non da noi. Perché non sono quelle come noi che hanno problemi con il femminismo. Sono loro che hanno problemi con quelle che declinano il femminismo per liberare, invece che per sovradeterminare e restringere spazi di libertà. E questo è.

—>>>Grazie a tutte quelle che ogni giorno si impegnano a tradurre, pensare collettivamente, partecipare a riflessioni e ricerche, condividere saperi e critiche, dubbi e informazioni. Grazie, per la generosità, e perché senza il vostro ossigeno libertario da queste parti i neuroni starebbero a esigere l’eutanasia…

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(la frase è di La PantaFika)

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, otro mundo, Pensatoio, R-esistenze.