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Referendum #LeggeMerlin: come prendere soldi dalle sex workers senza riconoscere diritti!

602972_567302266644492_1826942944_nDa Abbatto i Muri:

C’è un sindaco che vuole abrogare parte della Legge Merlin.

L’articolo dell’Espresso ne parla raccontando di una particolare esigenza di fondi, soldi, contributi da parte delle prostitute che con le loro tasse, così si scrive, potrebbero aiutare il welfare. Attorno all’idea di abrogazione che si traduce in un referendum, per il quale si raccoglieranno le firme a partire da settembre, si sommano una serie di altre proposte, spesso provenienti dalla Lega, in qualche caso dal Pd, di “regolarizzazione”, o presunta tale, del fenomeno della prostituzione.

Della proposta di referendum Pia Covre, presidente del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, parla in modo scettico e nel frattempo spiega cosa in realtà loro vorrebbero:

Vorremmo una bella proposta depositata in Parlamento e al Senato per quanto possibile  ispirata alla legge della Nuova Zelanda. Se si vuole andare a regolamentare dovrebbe essere così oppure fermiamoci alla decriminalizzazione!

Pia Covre parla di “propaganda“. Non le piace l’idea di stracciare “l’unica legge che ha restituito la libertà alle donne” salvate dallo sfruttamento e sostiene che si tratti d’altro che non corrisponde esattamente alla “regolarizzazione del fenomeno“.

L’Espresso riporta alcune sue dichiarazioni:

non si parla di niente: si vogliono togliere le prostitute dalle strade per una questione di decoro. Non si tenta di trovare una soluzione chiara, responsabile, che coinvolga per esempio anche quante lavorano nei club, negli hotel e simili. E’ da trent’anni che noi del Comitato, insieme ad altri soggetti, stiamo studiando una modifica seria della legge… poi arrivano questi qui con il referendum per far riaprire i bordelli e far pagare le tasse! Sono convinta che se da parte loro ci fosse stato un autentico interesse, avrebbero fatto una proposta in Parlamento. A ogni modo, che raccolgano pure queste firme… poi vediamo“.

E il punto reale della questione sta proprio qui. Chi fa queste proposte non si confronta con le parti in causa. Gli unici che fanno un discorso sulla regolarizzazione della prostituzione giusto a partire dalle rivendicazioni delle prostitute stesse sono i Radicali. Per il resto quello che fanno i sindaci del nord è quanto di più apparentemente incoerente si possa immaginare.

Sono gli stessi che hanno richiesto più poteri per questioni di sicurezza nelle città. Hanno sfruttato quei poteri per emanare ordinanze su ordinanze che parlano di allontanamento delle prostitute dai centri abitati per questioni di decoro. Sono un itinerario perverso che elargisce sanzioni, multe, a prostitute e clienti per ogni possibile banale motivazione. I sindaci ricavano da lì soldi perché sono i soldi che alle amministrazioni locali mancano e dunque si presentano come protettori che pensano al bene delle prostitute, si preoccupano di quanto siano cattivi gli sfruttatori e poi si mettono in concorrenza estorcendo dalle tasche delle sex workers soldi ricavati dalle multe.

Di recente viene resa nota una sentenza di cassazione che blocca la possibilità di fare multe ai clienti che si fermano in prossimità delle prostitute. Queste ultime però devono continuare a pagare se beccate in abiti “indecorosi” e in un perimetro improprio e incompatibile con altri e altre cittadin*. Come se non bastasse alle prostitute sono imposti rigidi controlli fiscali perché se non pagano le tasse sui movimenti di denaro dimostrabili vengono accusate di evasione.

Infine si ritorna alla questione posta dall’articolo dell’Espresso: dalle prostitute, alcuni contesti istituzionali, vogliono i soldi per sanare bilanci in perdita. Qui non si parla di diritti, di libertà e autogestione della propria professione, ma di trasferimento di guadagni da un criminale/protettore ad un protettore (metaforicamente parlando) più istituzionale.

Pagare le tasse implica una restituzione in termini di servizi, diritti garantiti, risposte istituzionali. Quali diritti, servizi e risposte istituzionali garantiscono questi soggetti che vogliono i soldi delle prostitute per sanare i bilanci dello Stato? Ma soprattutto: è mai possibile che qualunque proposta in questa direzione debba sempre e solo apparire come una sovradeterminazione di soggetti il cui parere non viene mai tenuto in considerazione?

Lo stigma sociale che mette ai margini le prostitute e le condanna alle violenze che subiscono va combattuto e rimesso in discussione giusto a partire dal fatto che vanno considerate persone in grado di autodeterminare la propria esistenza. Su di loro si abbatte sempre e comunque, per un verso o per l’altro, un atteggiamento paternalista o falsamente libertario, da un lato ci sono quelli che vorrebbero salvarle anche se non vogliono essere salvate e dall’altro quelli che vogliono i loro soldi ma che poi hanno mille riserve (ed è un eufemismo) nei confronti di migranti (spedite nei Cie) e trans e giudicano le prostitute comunque indecorose proponendo di rinchiuderle in un ghetto delle varie città. Di ascoltarle per quel che vogliono e rivendicano proprio non se ne discute.

Nella speranza che comunque questa proposta di referendum attivi l’interesse per la discussione al momento ferma alle guerre ideologiche di abolizionisti intenti a screditare e delegittimare le prostitute stesse che chiedono regolarizzazione…

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