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Deconstructing l’ottomarzomaschio

Trova l'intruso...Considero l’otto marzo una bella occasione mediatica per starmene zitto, in quanto uomo, tanto per dare l’esempio; se per una volta non si sentono uomini parlare delle loro cose dai media e nella rete, non è che proprio si fermi il mondo, che invece li sente dire perlopiù stronzate per gli altri 364 giorni. Ma la mia piccola opinione non può nulla contro il potere dei click-addicted, che se non cagano un post quando possono raccogliere visite e commenti, cosa ci stanno a fare?

Ed ecco che sul nostro sito preferito (attenzione: sto scherzando), con una picciona becchiamo due fave: l’otto marzo escono ben due post di uomini a proposito dell’otto marzo, in modo da battere sempre, con i numeri più alti, anche quei miseri siti e quotidiani che ne hanno fatto solo uno, e magari scritto da una donna.

“Il fatto quotidiano” #1 .

8 marzo, “contro” la festa della donna [un bel titolo provocatorio tanto per acchiappare l’attenzione dei gonzi, che stile ragazzi, eh?]

Da quando mi occupo di violenza e di questioni di genere, ho cominciato a nutrire un certo disagio nel relazionarmi con l’otto marzo, data scelta come “Giornata internazionale della donna” comunemente definita “Festa della donna” [sempre poco rispetto al disagio che causa uno che si occupa di violenza e di questioni di genere professandosi allievo di Massimo Fini].

Userò volutamente l’espressione “Festa della donna” e non “Giornata internazionale della donna” per sottolineare come, nell’immaginario comune, questa sia spesso percepita appunto come una festa (mimose e serate rigorosamente tra donne per fare gli esempi più significativi) e non come un reale e intenso momento di riflessione sulle condizioni passate e attuali della donna [scusa, e allora perché non combatti l’immaginario comune ricordando che questa data viene dall’8 marzo del 1917 a San Pietroburgo? Ricordando che la scelta della mimosa, di Teresa Mattei, della quale si parla solo adesso che è morta? Ricordando l’orribile carica della polizia l’8 marzo 1972 a Roma? ].

Domanda: “Perché c’è bisogno di una festa della donna?” [formulata così la domanda fa schifo, ratificando proprio quell’immaginario comune che dici di voler combattere]

Risposta: “Perché la donna ha dovuto, troppo spesso, accontentarsi di un ruolo subalterno all’uomo. Ha dovuto subire angherie, soprusi, violenze: l’essere femmina l’ha costretta a limitarsi e a non esprimersi al meglio perché la società (maschile) non glielo ha permesso” [discutibile, ma soprattutto espresso malissimo, quasi in malafede: sembra che sia stato l’essere femmina a costringere la donna a fare qualcosa, mentre la società (maschile) – tra parentesi perché non sia troppo forte, mi raccomando – non le ha permesso l’espressione migliore. Basta mescolare le parole per far uscire una frase più sensata: la società maschile ha costretto la donna a limitarsi e a non esprimersi. Breve, efficace e più vera – sempre che uno abbia voglia di dirlo].

Non che voglia affermare che la donna sia una santa e l’uomo un poco di buono: in entrambi i sessi risiedono virtù e debolezze proprie della natura umana. L’uomo, però, ha sicuramente approfittato di una situazione di vantaggio fisico per poi creare e sostenere una cultura e una società che lo ha privilegiato e lo privilegia in molti (non in tutti) i campi [per carità non ci sbilanciamo sennò i lettori protestano, rimaniamo nel peloso equilibrio di una linea editoriale fintamente corretta. Chi sono la maggior parte dei lettori del blog s’è già capito tempo fa. E poi, tutto solo riconducibile al vantaggio fisico? Mi pare che siamo andati un pochino più in là, o no?].

La domanda è legittima e anche la risposta è corretta [complimenti per la modestia e l’oggettività] . Non mi basta, provo ad andare oltre.

Domanda: “Perché non esiste una festa dell’uomo?” [Domanda: perché non rendersi conto di quanto si alimentino atteggiamenti misogini innescando dibattiti fintamente paritari?]

Risposta: “Perché in realtà la festa dell’uomo già esiste, solo che dura 364 giorni l’anno e non necessita, per rimanere in vigore, di alcuna celebrazione esplicita. L’uomo ha sempre goduto e gode tutt’ora (nonostante i tempi cambino e molte cose migliorino) di maggiori vantaggi sociali e culturali” [Risposta: perché non ci capisco la proverbiale mazza, di sessismo e pari opportunità].

Non voglio andare contro il mio stesso sesso [casomai contro il tuo stesso genere, ma certo che se siamo ancora all’ABC…], come a volte vengo semplicisticamente tacciato di fare [sempre da quelli che cliccano e portano visite, non ti preoccupare che va bene così], quello che voglio è creare ponti tra i generi [ah, adesso sono generi? Non sessi?], non fratture. Per farlo bisogna anche necessariamente andare oltre il pensare comune e guardare alle riflessioni che ne nascono [le riflessioni non si guardano: si fanno, si condividono, si esprimono, ma non si guardano]. Appartengo al genere maschile, ciò non mi esime dall’osservarlo e cercare di capirne le criticità. Nello stesso tempo, non appartengo al genere femminile e non ho la pretesa di comprenderlo sempre e comunque [lasciando aperta la possibilità di riuscirci, comunque, ogni tanto e in qualche modo – potrebbe tornare utile].

Per dire qualcosa rivolgendomi al genere femminile che possa avere, per me, un senso oggi, 8 marzo [ma perché prima non ti chiedi a chi cacchio gliene importa di te che ti rivolgi al genere femminile proprio oggi? E dopo che ti sei risposto eviti di esprimerti PROPRIO perché è l’otto marzo e puoi farlo tranquillamente un’altra volta?], potrei esprimermi esclusivamente in questi termini:

“Non ho alcuna intenzione di regalarvi una mimosa o farvi degli auguri solo perché appartenenti a un genere che non è il mio [bravo, complimenti, vuoi un premio? E allora che l’hai scritto a fare?]. Non celebro la “normalità della diversità”, non ne sento il bisogno [appena ci spieghi che vuol dire ti diremo se mai ne sentiremo il bisogno pure noi]. Se è la società a sentire questa necessità [ma chi è la società? “La società sente la necessità di celebrare la normalità della diversità”?  A parte la cacofonia, ma cosa vorrebbe dire? Tutto il corpo sociale vuole, con l’otto marzo, celebrare l’usuale diversità dei sessi? O dei generi? Ma solo a me pare tutto confuso, vago, pieno di quei luoghi comuni che poco sopra si è detto di voler combattere?], visto che il mio obbiettivo è modificare e cambiare certi atteggiamenti e comportamenti propri della società [e allora comincia con non ripeterli, no? Statti zitto almeno l’otto marzo!], sento la necessità di mettere in discussione proprio i suoi costrutti più radicati [Celebrare la normalità della diversità sarebbe un costrutto radicato nella società? Ma quale diversità? Quando la comunità LGBT prova a celebrare la sua, di diversità, hai visto che succede? Non sarebbe il caso di specificare meglio a cosa ti riferisci?]. Oggi non ho bisogno di comportarmi diversamente da come faccio il resto dell’anno [parli dello scrivere post a sproposito? Peccato, poteva essere una bella occasione].

Non ho bisogno di un giorno specifico per ricordarmi le attenzioni di cui vi abbiamo privato [BASTA con lo stereotipo sessista della donna bisognosa di attenzioni, BASTA!!!] o i soprusi a cui vi abbiamo sottoposte: le volte che vi siamo passati davanti solo perché uomini, le volte che avete avuto delle difficoltà lavorative perché aspettavate un figlio o solo perché donne, le volte che tette e culi hanno rappresentato il “meglio del femminile” sui mass media, le volte che i vostri padri non vi hanno concesso le stesse libertà che concedevano ai vostri fratelli, le volte che il ruolo di casalinga vi è stato prospettato come la vostra possibile massima aspirazione, le volte che non vi siete sentite sicure in strada, le volte che alcuni di noi [NOI? Noi quelli dello stesso sesso o dello stesso genere? E chi ti ha autorizzato a parlare per tutti?] vi hanno molestato, fatto scontare il prezzo di una gelosia ossessiva, picchiato, stuprato. Ho bisogno di tutti gli altri 364 giorni per ricordarmelo, nessuno escluso.

Sono sicuro che voi non siate esenti da difetti [un colpo al cerchio e uno alla botte, eh?] e so che avete le vostre criticità nel relazionarvi con noi [e te credo, se scrivi ‘sta roba, difficoltà ce le ho pure io], anche se questo non deve giustificarci dal non valorizzare le nostre differenze invece di farcene un’accusa reciproca, come sovente accade [triplo carpiato retorico, sempre per non perdere troppi click]. Non voglio lavorare per un rapporto tra noi privo di tensioni, di scontri e di incomprensioni, non sarebbe umano [grazie, com’è buono lei], ma voglio imparare quotidianamente a tenere fuori da tutto questo atteggiamenti e comportamenti aggressivi, prevaricanti o violenti e a capire in tempo quando si passa il limite [comincia col rispettare il tempo e lo spazio delle celebrazioni altrui e dare una ripulita al tuo linguaggio, che ne dici?]”.

Non ha senso che il 9 marzo ci trovi come ci aveva lasciato il 7 marzo solo perché c’è stato un 8 marzo di mezzo. Il mio impegno va nella direzione di poter arrivare a un momento in cui non sarà più necessario dover celebrare in un giorno specifico l’essere donna [ma posso sapere che cosa stracacchio te ne frega a te se un genere che non è il tuo decide di festeggiarsi quando gli pare? Ma non ti sfiora l’idea che un giorno del genere sarà necessario anche quando il mondo diverrà paritario e senza violenza sessista, per ricordare di non fare più lo stesso errore? Ma che il 27 gennaio smetteremo di celebrarlo, se mai finirà l’antisemitismo?]. Sono sicuro che, quando questo momento arriverà, significherà che i pari diritti e le pari opportunità saranno la “normalità”. Per ora di festeggiare questa “normalità” non me la sento [non si festeggia niente, infatti, e men che mai questa tua normalità che non hai spiegato cosa sia].

Nello stesso giorno, per la stessa testata, su un altro blog ecco un altro uomo l’otto marzo, Il fatto quotidiano #2 .

La Giornata dell’Uomo [e siamo al secondo titolo paraculo]

Una “Giornata dell’uomo” sarebbe tanto necessaria quanto urgente [ci potresti dire prima il perché? E che bisogno c’è di dirlo proprio l’otto marzo?], ma credo che non nascerà. Non ancora, almeno. Per una nascita, in natura, servono ambiente favorevole, attrazione, motivazione, fertilità [in natura? E che c’entra la natura con la decisione di persone adulte e responsabili?]. Un clima “fecondo” che tra gli uomini non c’è [e continuerà a non esserci, se qualcuno cerca click facili scrivendo l’otto marzo], anche se ce ne sarebbe terribilmente bisogno.

La prima “Giornata della donna” risale all’inizio del secolo scorso, un periodo particolarmente fervido in cui operava un vasto movimento marxista che aveva tra i suoi membri donne come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e personaggi del calibro di Lenin. Nell’Internazionale socialista si discuteva accoratamente di guerra imminente, economia, colonialismo, ma anche di questione femminile e suffragio universale. Esisteva un’Internazionale delle donne socialiste, un giornale ufficiale della loro azione (Die Gleichheit – l’Uguaglianza), un programma di lotta [della serie “ecco l’uomo che vi racconta il femminismo”. Complimenti, un ottimo gusto farlo l’otto marzo. Ma andiamo avanti].

Le donne dunque c’erano, erano attive, in fermento. Tanto che quando l’Internazionale socialista espresse preoccupazione che le proprie battaglie di rivendicazione femminile si mescolassero con quelle di altri gruppi per gli stessi diritti, come ad esempio le «femministe borghesi», molte donne insorsero. “L’Internazionale” – scrisse la socialista Corinne Brown nel 1908 sulla rivista “The Socialist Woman” – non ha alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione”. Per maggiore chiarezza, pochi giorni dopo, le donne socialiste di Chicago chiamarono la loro riunione settimanale di lotta “Woman’s day”, il giorno della donna, aperto a tutte. Agenda: diritto di autodeterminazione, sfruttamento sul lavoro, dislivello di salari con gli uomini, orari lavorativi, discriminazioni sociali e sessuali, suffragio alle donne [grazie per il riassunto. Allora? Qual è il punto?].

Sebbene esistano motivi molto seri per cui la lotta delle donne è bene che proceda, come fa, e compia il lungo percorso già effettuato, le attiviste di quella stagione e le loro eredi possono vantare tantissime vittorie. Quasi tutti i punti dell’ordine del giorno di quel primo “Woman’s day” sono stati ottenuti [il diritto di autodeterminazione è stato ottenuto? E come, se non c’è parità di stipendi per le stesse mansioni, e con condizioni contrattuali schiaviste? E che dire delle discriminazioni sessuali? Quasi tutti i punti? Ma dove, ma quando?]. Altri ne restano, certo, ma la coscienza sociale ha fatto passi da gigante [uh, sapessi, adesso le donne son tutte contente infatti]. Ciò che è cambiata maggiormente è la consapevolezza stessa delle donne e della società. All’epoca a lottare era una minoranza di illuminate. Oggi la maggioranza, almeno nel nord ovest del pianeta, non ha bisogno di essere convinta sui temi della parità [ma ci saremmo anche noi italiani nel nord ovest del pianeta? E ti pare che in Italia la maggioranza sia convinta?]. E neppure la maggioranza della società [COSA? La maggioranza della società non ha bisogno di essere convinta sui temi della parità? E il rapporto CEDAW cos’è, una barzelletta?].

Noi uomini del nostro tempo siamo in condizione del tutto diversa dalle donne dei primi del ‘900, e pur tuttavia viviamo un’epoca di crisi profonda, la peggiore forse della nostra storia [quella che viviamo nel presente è sempre la peggiore – è una nota deformazione dell’osservazione storica. Ci vorranno anni di distacco per capirlo – e comunque non ne vedo po tantissimi di maschi sofferenti, sai?]. Sarà che non facciamo più la guerra, non in massa almeno [e questo sarebbe un motivo di crisi? Ditemi che ho capito male]; sarà che non abbiamo mai dovuto lottare per alcun diritto di genere [e questo che c’entra con la crisi? Ma perché dare tutto per scontato, perché non spiegare?]; sarà che il mondo cambia e se non cambi anche tu resti indietro [cos’è, una canzone di Jovanotti?].

Ad eccezione della minoranza gay, che vive invece una stagione del tutto diversa, assai più simile alla condizione di centratura, motivazione ed energia delle donne [ma che cos’è la condizione di centratura? E la condizione di motivazione? Ma che ci vuole a chiedere a un amico di rileggere quello che uno scrive?], mai come oggi la maggioranza maschile eterosessuale sembra aver perduto ruolo, spinta, visione [sì, infatti, gli uomini etero non contano più niente, non ci sono uomini etero alla guida della maggioranza dei governi, delle multinazionali, delle aziende pubbliche, e non hanno più modelli di riferimento nei media, uh che brutto periodo signora mia guardi]. Non siamo più i condottieri [I condottieri? Ma che è, un fantasy?], non siamo più i portavoce della comunità [EH? I portavoce della comunità, ma di cosa sta parlando? Quale comunità? E perché ci dovrebbe essere un portavoce e un condottiero, vuoi dirlo per favore?], facciamo da vestali a un sistema morente, che in gran parte è un nostro prodotto [ah, lo sai, allora], di cui siamo ancora largamente i tenitori, gli attori, gli schiavi [ma come, quattro righe fa hai detto che gli uomini sono senza ruolo, disperati, e adesso fanno largamente tutto gli uomini? E comunque, mi dici allora perché cacchio lo vieni a dire l’otto marzo?]. In più, continuiamo a non comunicare orizzontalmente, tra di noi, né con le donne, contorcendoci su noi stessi tra un endemico analfabetismo emotivo e una tragica incapacità a raccontarci [E ALLORA DATTI DA FARE INVECE DI ROMPERE LE SCATOLE PROPRIO L’OTTO MARZO, NO?]. Succubi dell’ansia per qualunque prestazione, veniamo chiamati [ma da chi, se hai detto che facciamo tutto da noi? Ma ti sei riletto almeno una volta?] a un’azione adatta all’uomo di una volta, come era nostro padre, non certo a quel che siamo oggi veramente. Incapaci della solitudine operosa e autocosciente [ma che vuol dire? Aiuto…], veniamo masticati dal sistema lavorativo, che ci schiaccia, dall’assenza di ruolo famigliare, da un profondo dislivello energetico e psicologico di fronte alle donne [a me pare che le donne vengano menate ancora di brutto, quindi non è che la maggioranza degli uomini viva ‘sto grande dislivello energetico, ecco], al cambiamento, al futuro. Tutto in modo acritico e supino.

Dov’è, cos’è diventato l’uomo contemporaneo? Cosa prova, che strumenti gli sono rimasti? Se fosse libero di scegliere, che vita farebbe, per quali sentieri andrebbe alla ricerca della propria avventura? Che relazione nuova saprebbe costruire con le donne di questa era? [e soprattutto: quando smetterà di farsi ‘sti problemi proprio l’otto marzo, nel blog di un quotidiano, nella sezione “dedicata” alle donne?]

Mai come oggi servirebbe fermarsi, riflettere, sentirsi, trovare i problemi, portarli alla luce, espellere quella biomassa di residua virilità putrescente [ma chi sei, il ghost writer di Vendola? Ma a chi ti rivolgi con questo linguaggio, chi pensi che possa convincersi di ciò che già non ha capito?] che ancora ci impedisce quasi ogni relazione. Dovremmo smettere di partecipare al sistema che ci affossa, ci schiavizza, per partecipare a un sistema nuovo, in cui avessimo nuovo ruolo, adatto a noi, ma che prima dovremmo pensare, urlare, lottare per realizzare [il prossimo che mi dice che IO scrivo in maniera contorta gli cito questo qui. In 34 parole ci sono 12 verbi, più di uno ogni tre parole; qualunque editor l’avrebbe segnata in blu. Ma perché decidere che gli uomini, oltre ad avere i loro problemi, devono pure impiccarsi per leggere questi articoli?].

L’agenda del primo “Man’s Day” potrebbe suonare così: manualità perduta [niente facili battute, su, per favore], responsabilità individuale, distacco dalle famiglie di origine [questo è un problema tutto italiano, non internazionale, eh], nuovi sogni, coraggio per perseguirli, fuga dal consumismo, nuova grammatica del lavoro [cos’è? Mah, suona bene, scriviamolo lo stesso], solitudine [cioè: la vuoi? E’ un obiettivo da perseguire? Non s’è capito], nuovo alfabeto emotivo [alfabeto, non linguaggio. Perché? Niente, così, tanto per], nuove relazioni. Forse, così facendo, potremmo anche mettere la parole fine alla violenza sulle donne [tu comincia a fare il tuo non scassando le ovaie l’otto marzo, sarebbe già qualcosa]. Donne che quando vanno via, quando ci provocano a una comunicazione in cui siamo ignoranti, ci mostrano solo quanto siamo deboli, quanto a un uomo in crisi non restino altro che fuga, disincanto e botte [che bello dire queste cose l’otto marzo, sono molto incoraggianti. E comunque la fuga e il disincanto possono pure non far male a nessuno, non è che serve per forza fare l’eroe. Oppure ci tieni proprio tanto, ai condottieri?].

Due ottime occasioni perse per tacere. L’otto marzo e anche altri giorni, se sono queste le cose da dire.

Posted in Disertori, Satira, Sessismo.


One Response

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  1. ilaria says

    Bravo, mai post sull’8 marzo fu più azzeccato! se il bizzarro sistema di misura dei social network valesse veramente qualcosa ti clikkerei tante volte quante sono le teste degli uomini da cambiare. Problema: con chi lo condivido mò?