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#EmozioniLiberationFront: lo stigma sulle emozioni nei casi di cronaca!

Nel Collettivo FaS stiamo discutendo su come sia necessario formulare – a parte un #corpiliberationfront slegandoli dalla oscena e autoritaria retorica antiviolenza – un #EmozioniLiberationFront giacché le emozioni parrebbero soltanto legate a crimini e misfatti, caratterizzanti in senso negativo un maschile che sembrerebbe averne l’esclusiva, e mai aventi diritto a manifestarsi come cose umane. La discussione, lunga, articolata ed estremamente interessante, proveremo a riassumerla in un altro momento ma per adesso condividiamo l’intervento di un@ di noi da cui è partita la nostra discussione. Buona lettura!

Lo Stigma sulle Emozioni

Facevo un po’ di pensieri sparsi su quelle tre o quattro frasi estrapolate da un’intera sentenza (69 pagine mi pare), quella sull’omicidio Rea, e del loro corredo mediatico.
Tante belle riflessioni le ho già lette sul post di abbattoimuri, però non riesco a sentire miei quei moti di disgusto misto a condanna e riprovazione verso quella che dovrebbe rimanere un’emozione, un elaborato del tutto intimo e personale, e che certo io non considero una giustificazione. Sappiamo però che tra l’individuazione del movente, il clima di giustificazione che a volte crea il linguaggio giornalistico, e le attenuanti giuridiche che possono essere riconosciute, ci passa tantissimo, e che questi aspetti non possono essere confusi. Cerco di allontanarmi un attimo dal caso Rea, dimenticando le notizie e le informazioni che ho accumulato dal giorno del delitto.

Il rifiuto, che sappiamo essere legittimo e intoccabile, di un rapporto o di un approccio sessuale, di una persona, può essere vissuto come un’umiliazione da parte di chi quel rapporto, o contatto o quello che sia, l’ha cercato?
Io mi sono trovata ad essere rifiutata, sotto vari aspetti, incluso quello fisico. E’ successo per qualche anno; l’uomo con cui stavo non provava desiderio sessuale per le donne, me inclusa. L’ho capito soltanto dopo averlo lasciato, e nel frattempo, poiché per diversi motivi mi ero disamorata, l’ho anche tradito, riprendendomi quella parte di me che a lungo avevo negato, che a lungo non aveva trovato accoglimento da parte di quell’uomo.
Non mi sentivo umiliata, no. L’umiliazione ha un connotato di vergogna, è legata alla dignità, mentre io tendevo di più a recepirla come una mortificazione. Forse a volte sono andata vicina a quella che si può definire una frustrazione.

Capisco bene che in una società dalla forte impronta patriarcale come la nostra si possa ricondurre l’umiliazione (o simili emozioni) maschile all’orgoglio virile leso, che si possa discutere dei “doveri” coniugali e della diversa sfumatura che la stessa società dà allo stupro perpetrato all’interno del matrimonio. Per me è importante qualsiasi discorso che disveli i meccanismi emotivi che provengono dai condizionamenti di genere, però al tempo stesso detesto che si censurino i vissuti personali, compresa la vasta gamma di emozioni e reazioni che un rifiuto sentimentale o sessuale può suscitare.
Anche una donna può sentirsi mortificata o umiliata di fronte a ciò. Si può dire questo? Forse sì, perché si parla appunto di una donna.
Ma se lo ammettiamo per una donna come potremmo non farlo per un uomo? O l’uomo in quanto uomo non può, nel senso che è ingiusto e condannabile, provare determinate reazioni (perché subito scatta la connessione delle sue emozioni con il contesto patriarcale o maschilista)? Sarebbe una conclusione sessista, credo.

Da qui, dalla constatazione che si possono provare tante emozioni, che si possono avere reazioni differenti rispetto ad una sana scrollata di spalle senza per questo diventare aggressivi né avere l’esigenza o il desiderio di far male al soggetto dei propri desideri, non è pensabile dedurre che tali sentimenti siano giustificazione o attenuante di un crimine. C’è comunque da tenere distinto il movente, la causa ultima, che potrebbe essere anche l’umiliazione provata, a torto o a ragione, dalla giustificazione da cui poi, se reiterata e veicolata nei modi più disparati, potrebbe effettivamente portare alla legittimazione sociale.
Si riescono a tenere separati tutti questi aspetti senza arrivare alla censura preventiva di quel che proviamo perché si è già stabilito che se in un determinato contesto hai una certa reazione vuol dire che sei da curare o comunque da compatire, in quanto certamente intriso di mentalità patriarcale? Si riesce a tenere disgiunta la constatazione di un fatto, la sua ricostruzione (ritorno al caso Rea e alle frasi delle motivazioni che sono state pubblicate), con tutte le lacune e le imprecisioni che può avere senza declinarla noi stessi ad attenuante e un attimo dopo inorridire di fronte a ciò?

Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, Pensatoio.