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Discussione sugli articoli sul femminismo neocolonialista

Vi avevamo già segnalato questi articoli e anticipato una discussione che si era generata all’interno del collettivo FAS. Sperando possa darvi qualche spunto di riflessione e con l’invito a dirci la vostra opinione, vi riportiamo quanto detto. Buona lettura!

Serbilla nel segnalarci i due articoli scrive:

In pratica viene contestato alle Femen di non riconoscere alle donne musulmane, che adottano il velo, la possibilità di essere anche femministe, perché, dice l’articolo, l’unico femminismo che per loro esiste è quello della nudità. Mentre loro, pur ritenendo legittimo che esista il femminismo alla Femen, non vogliono che venga ritenuto l’unico possibile.
La preoccupazione è che il velo, identificato con uno strumento di oppressione, senza via d’uscita o mediazione, comporti una discriminazione, perché si diffonde contemporaneamente l’idea che le donne musulmane non sono coscienti (mi ricorda qualcosa). Insomma dall’articolo si ricava l’idea che le Femen stiano adoperando una retorica colonialista.

Bisognerebbe leggere qualche dichiarazione delle Femen sull’islam e il mondo arabo.

Feminoska scrive:

Ciao,
ho letto ambedue gli articoli che ti ringrazio di aver condiviso poiché molto interessanti. Io brevemente posso dirti che mi trovo più in sintonia con il secondo articolo, intanto perché (come viene esplicitato anche nei commenti del primo) non identifico la modalità femen come unica modalità possibile o modalità tipica occidentale, ma come una modalità che con mille difetti – che conosciamo, e non starò qui a ripeterli – ha però anche secondo me, perlomeno all’inizio, avuto il pregio di riappropriarsi del corpo delle donne attiviste in chiave sovversiva – cosa che ha veramente scioccato direi, più che l’esposizione di corpi alla quale oramai dovremmo essere più che abituat*.
Anche io penso tutto il male possibile delle grandi religioni monoteiste (avendole anche frequentate da vicino, posso dire che sono davvero assai misogine), e oltre ad essere d’accordo con l’autrice del pezzo che vede il femminismo islamico come un tentativo di conciliazione (ed è una con un nome di JOUMANA HADDAD che parla, non svenska holaffson) che contestualizzato nel tipo di società da cui proviene pone grandissimi pericoli (temo sia il solito discorso che si è fatto a volte sulla prostituzione ossia, il concetto di sex work calato nel contesto della società in cui viviamo non è lo stesso rispetto al concetto di sex work preso di per sé). Ultima nota: spesso ho sentito dire da quelle che si definiscono femministe islamiche che il velo è – oltreché legame con le proprie origini, identità, ecc. – anche un modo di sottrarsi ad uno sguardo maschile abituato a sessualizzare automaticamente il corpo femminile. Ecco, questo mi pone mille domande, ad esempio: non dovrebbe essere diverso lo sguardo maschile, tale che se una donna si mostra senza pudore (e cos’è il pudore?….) non sia automaticamente uno sguardo sessualizzato? Anche nel caso in cui lo sia, il desiderio maschile è per forza violento, inarrestabile, incontrollabile, o è socialmente accettato o in qualche modo valorizzato per questa sua caratteristica? Lo stupro esiste anche negli animali non umani, ma noi abbiamo costruito tutta una piramide concettuale e di distanza dagli aspetti più animali ed istintivi che però non è bastata a rendere culturalmente inaccettabile la reificazione degli esseri di sesso femminile, visto che questo è funzionale al soddisfacimento di un desiderio molto caro al pensiero dominante, e cioè il diritto al soddisfacimento sessuale del maschio (mi sono persa un link interessante che dovrò ritrovare su di un video su disabilità e sesso, tanto per dire che poi ci sono tutt* coloro esclus* da questo diritto, disabili, donne di una certa età o non avvenenti, animali…) ok sto andando off topic, giusto per gettare qualche semino qua e là.

Serbilla scrive:

Dunque, io mi trovo idealmente vicinissima a ciò che dici tu Feminoska. Per le tue stesse ragioni, sia sulla difficoltà di vedere un discorso femminista associato alle religioni monoteiste (alle posizioni ufficiali, quindi quelle che hanno un peso maggiore, che stabiliscono la norma, e sono spesso diverse dalle correnti minoritarie e progressiste), sia sul discorso dello sguardo e desiderio degli uomini, anche se questo, e quello sulla disabilità, li rimando a un altro momento 🙂

I punti mi sembra però siano due: quello di non togliere alle persone la possibilità da un lato di maturare un diverso approccio e, dall’altro, possibilmente di non isolarle.

Come dicevo sulla mia stessa bacheca, in merito al cattolicesimo (non mi esprimo molto sull’islam perché lo conosco troppo poco), una volta che non sei più d’accordo con niente del cattolicesimo e però continui a seguirne la cultura, tu magari vivi anche bene, per te ha senso, e ci siamo. Ma interrogarsi su quanto continuare a ripetere uno schema, al quale nemmeno credi più, sia giusto o impedisca il cambiamento della società pure mi sembra giusto. Ed è ciò che si fa quando si parla di islam e velo e femminismo, suppongo.

Solo che non si può brutalizzare le persone e andare a togliere veli e acorciare gonne, anche perché, appunto, non è la gonna corta che mi fa libera, ma la mia libertà di metterla o non metterla. Come la libertà di aderire o non aderire o aderire in parte e non per forza nelle stesse parti di un altr* a undiscorso culturale, a un pensiero.

Il riferimento ai diritti umani che c’è nel testo, è giusto, ma un diritto umano è l’autodeterminazione. La quale deve valere pure quando a noi non ci piace, o no? Altrimenti davvero dobbiamo andare nei conventi a spogliare le suore, perché collaborano attivamente col patriarcato. Dobbiamo andare davanti a ogni chiesa e lanciare pomodori sui vestiti bianchi delle spose, perché collaborano col patriarcato.

A quel punto il discorso che fanno quelli che se la prendono con le veline ecc. avrebbero ragione, in nome del fine ultimo.

C’è bisogno di un compromesso forse, o di una mediazione, tra la radicalità di pensiero, necessaria a liberarci, e la volontà e necessarietà di non invadere e violare le libertà personali degli altri.

E’ una risposta un po’ banale forse.

Sul concetto di “brutalizzazione” Feminoska scrive:

però scusa, che c’entra il brutalizzare le persone? nell’articolo non ho letto invocazioni a saltare addosso alle musulmane e strappare loro di dosso il velo, ma solo una critica a certe posizioni, e la critica è sacrosanta e deve far riflettere.

A cui Serbilla risponde:

Mi riferivo alla ‘sindrome di stoccolma’. Benché sia il titolo e quindi pensato per attirare l’attenzione, spesso discorsi del genere si ritrovano. Anche a me è capitato di pensare ad una sorta di grande ‘plagio’, ma è una riduzione che da un lato offende e dall’atro non aiuta a risolvere la questione. Perché se ti dico che sei malata e sei plagiata, piuttosto che capire i fenomeni culturali e di identità, mi ti rivolti contro. Che è il senso dell’articolo contro le Femen, secondo me.

Vivi scrive:

Innanzitutto grazie a Feminoska per le traduzioni, senza le quali mi sarei persa due interessantissimi articoli.

Di cosa da dire ne ho davvero tante quindi mi spiace ma vi beccate il pippone.

Partiamo da ciò che condivido, ovvero l’idea che l’Haddad ha delle religioni. Da agnostica sono assolutamente d’accordo con lei nel considerarle frutto di una cultura patriarcale che è sessista, omofoba e razzista. Le religioni sono violente e autoritarie: Dio (in tutti i suoi nomi) è il più temibile dei dittatori dato che impone ogni cosa ma è percepito come l’incarnazione di tutto ciò che è perfetto/giusto/buono.

Comprendo anche i dubbi che la scrittrice si pone nei confronti del rapporto tra femminismo (islamico o meno) e religione. Sono indubbiamente ossimori ma la sua posizione, nonostante tutto, mi sembra troppo rigida. Perché dico questo? Perché se un ragionamento vale per una cosa allora deve valere per tutte le altre, e a questo punto forse la presunzione di sapere cos’è femminista e cosa non lo è cade. Se è vero, come lo è, che la religione è inconciliabile con le rivendicazioni femministe, non si può negare che lo stesso valga per il capitalismo e il sistema di governo cosiddetto “democratico”. Cerco di spiegarvi in breve il perché di queste affermazioni:

– il femminismo/i tende a liberare i corpi e le menti in ogni senso. Non a caso il termine più ricorrente è “autodeterminazione” che vuol dire “decidere/scegliere per sè”. La scelta però, per essere effettivamente libera, non può avvenire all’interno di un sistema come quello capitalistico che di libertà non te ne lascia neanche l’ombra. Il capitalismo si basa sullo sfruttamento, che sia di corpi o di menti poco importa. E’ schiavitù e questo non lo si può negare. Mi chiedo se l’Haddad si sia mai interrogata sul fatto che, per esempio, il solo pubblicare con copyright i suoi libri, porti avanti un’idea che si basa sul concetto di proprietà privata (in questo caso del sapere che genera una discriminazione di classe tra chi può accedervi e chi no) che nasce e alimenta una cultura maschilista, che rende la donna, a sua volta, proprietà privata. L’oggettivazione della donna non è solo frutto delle religioni e questo è importante ricordarlo, altrimenti si diventa miopi.

– Il femminismo/i inoltre lotta affichè la donna sia proprietaria di sé stessa, ovvero sia libera da ogni tipo di tutore e padrone. Ma come può una donna definirsi libera se con il solo atto di votare, e alimentare dunque un sistema che si basa su partiti che sono un modo di delegare a terzi questioni su cui noi stess@ dovremmo prender parola, reputarsi libera? La donna dovrebbe autorappresentarsi e non delegare questa rappresentazione ad un terzo. Questa modalità di delegare è tipica dei sistemi cosiddetti democratici che invece non fanno altro che ricalcare quello che era ed è il modello di famiglia patriarcale. Lo stato altro non è che il pater familias di un intero popolo.

Detto questo, seguendo la logica usata dall’Haddad, nessun@ donna che sia complice non solo di portare avanti le religioni, ma anche il sistema capitalistico e la fantomatica democrazia non potrebbe definirsi femminista, eppure ciò avviene. Perché? Perché si è duri e rigidi solo nei confronti delle religioni e non con altri, palesi e chiari, strumenti di dominio della cultura patriarcale? Io sono assolutamente d’accordo nella condanna contro le religioni, ma non posso omettere il resto.

Mi viene in mente anche un altro paragone, che forse farà infuriare le madri, ma è importante farlo per capire quanto questi discorsi, per quanto giusti, siano estendibili a molto di più che alle sole religioni: parlo della famiglia. Negli anni 70 si diceva che “la famiglia è un reato, perché un prodotto del patriarcato”. Non c’è slogan più vero. La famiglia patriarcale è quanto di più maschilista esista, perché si basa sul concetto di proprietà privata (la donna e i/le figl@ nei confronti dell’uomo, e i figli/e rispetto ai genitori) e del dominio (il marito governa la moglie, i genitori governano i figli/e). La famiglia è lo stato in miniatura e come ogni società o riproduzione di essa è una focina di violenze e discriminazioni. Ora, si può dire che ogni donna che crea una famiglia è automaticamente una non femminista? Mi si potrà ribattere che non tutte le famiglie sono patriarcali, e questo è vero, eppure tutte alimentano il concetto di proprietà privata e di dominio. Il solo fatto di definire il proprio marito, “proprio”, ed i propri figli come “propri” sancisce l’esistenza di una specie di marchio di proprietà privata. La monogamia, che è alla base della famiglia “tradizionale” e non, è frutto di una cultura maschilista, ma perchè non si dice che le donne monogamiche non siano femministe? Eppure la monogamia è l’apoteosi della proprietà privata, perché non è una scelta ma un’imposizione dettata dalla cultura. Se fosse una scelta non credo sarebbe così sistematica e diffusa.

Ecco, potrei fare milioni di questi esempi e con essi escludere ogni donna dal femminismo, ma come ho detto non condivido questa rigidità e credo che autodeterminazione sia anche rispetto per le scelte altrui. Ovviamente sono consapevole che alcune istituzioni non lasciano margine alla libertà, ma non è mettendo davanti ad un aut aut le donne che si risolvono le cose.

E poi io sono una donna occidentale e, per quanto sia antirazzista, non posso negare quello che sono. Sono bianca e occidentale e questi non sono elementi neutri. Non mi sento in grado di andare ad imporre una mia visione del femminismo e della lotta per la liberazione ad altre donne occidentali, figuriamoci alle donne musulmane o di altri paesi. E qui rientra il discorso sul colonialismo che leggiamo nell’altro articolo. Io non posso fingere di non sapere che per anni il femminismo occidentale è stato presentato come l’unico possibile, quello giusto, insindacabile. Non posso dimenticare il fatto che non solo abbiamo un passato da colonizzatori ma che questo processo è in atto tutt’oggi.

Le dichiarazioni delle Femen, se sono quelle riportate dalla Salem, sono indubbiamente di stampo colonialista. Come sapete sono una fan del nudo, ma non oserei mai affermare che la liberazione passa attraverso di esso. Obbligare una donna a spogliarsi per dimostrare una presunta liberazione equivale a metterle il burqua. Non deve essere un’imposizione ma una scelta. Il nudo è uno strumento di sovversione, di riappropriazione del corpo che va bene per alcune mentre per altre no, ma dato che ci sono mille pratiche e mille modi di riappropriarsi del corpo non vedo perchè debba esser proposto come l’unico.

Affermare che esista un unico modo non è andare contro alla possibilità di scegliere per sé, per cui il femminismo si batte? Non è che se una cosa me la viene ad imporre una femminista è giusta. L’imposizione e in generale i mantra, le soluzioni che non lasciano spiragli per altre pratiche sono violenza. La libertà è possibilità di scegliere il che vuol dire che posso andare anche contro ciò che tu dici/credi essere una giusta pratica.

Inoltre l’idea del vero femminismo mi ha sempre fatto venire il prurito, perché va contro ciò che credo essere il femminismo, senza aggettivo ne certificato di autenticità. Il femminismo è un pensiero di libertà che può e per fortuna lo è, essere declinato in modi differenti. Infatti esistono i femminismi e non il femminismo.

Ora, dette tutte queste cose, penso che un’unica domanda resti: come ci si dovrebbe porre nei confronti del femminismo islamico? Personalmente mi ci rapporto con molta curiosità anche se non ne condivido la scelta di restare legati alla religione. Ma d’altronde io, nonostante agnostica, non posso definirmi libera dal capitalismo, per esempio. Il capitalismo per molt@ è una religione, senza non sanno immaginarsi, come senza partiti o rappresentati, l’autorganizzazione per molt@ è utopia. Quindi penso che ci sia parecchia strada da fare tutte insieme e che criticare in modo intelligente sia utile, ma non lo sono, almeno per me, le esclusioni sommarie. Non condivido l’idea che una donna che indossa il velo sia meno femminista di una donna che va semplicemente a lavorare, perché anche se in maniere diverse, alimentano religioni/fedi differenti ma ugualmente discriminanti e violente.

La religione, come il capitalismo e il sistema partitico, sono istituzioni di cui prima o poi dovremmo disfarci, se vogliamo raggiungere una effettiva e reale libertà, ma prima di allora trovo ingiusto discriminarci a vicenda quando basterebbe farsi un po’ di sana autocritica per capire che infondo ciò che si dice valere per le altre vale anche per sé. Partire da sé è sempre una buona pratica, dopodiché tutte le critiche sono lecite purchè non puntino il dito solo contro un determinato elemento dimenticando gli altr@.

Serbilla scrive:

Allora, quindi. Trovo l’articolo numero 2 molto vicino alle mie idee, non solo sulla religione, le tre religioni monoteiste, le quali, puoi girarla come ti pare, sono così: misogine, omofobe, sessuofobe, ecc. Le vederei bene finite nel dimenticatoio, per una epidemia di scordarella collettiva. Non accadrà purtroppo.

Il riferimento alle letture ‘progressiste’ che si fanno dei testi sacri mi fa sorridere, perché mi ricorda il racconto che fece Zanardo di una teologa che, durante un convegno al quale anche lei era stata invitata, cominciò a spiegare perché, in realtà, le stimmate sono vagine. Per quanto possa sembrare divertente, questo è scuramente un tentativo di lettura diverso, di genere, del cristianesimo. Suppongo che i tentativi delle donne islamiche di fare del corano una lettura ‘diversa’, siano ispirati alla stessa logica: ho fede in dio e vi mostro una diversa lettura delle cose. Questo è un modo per ritagliarsi spazi di autonomia in un mondo maschile, mi sembra. Spazi legittimi.

Personalmente giudico, e l’autrice dell’articolo anche, credo, la religione una cosa sbagliata e da non tramandare assolutamente, però questo è un pensiero agnostico se non ateo, che non posso in alcun modo imporre ad altri. Dove sta la libertà personale altrimenti? La libertà di scelta? Finché io non faccio del male agli altri (e su cosa è fare del male agli altri potremmo trovarci in disaccordo, ma allora dobbiamo parlare di tutto ciò che direttamente o indirettamente fa male agli altri, fino ad arrivare alla negazione della mia esistenza, perché produco immondizia e consumo risorse d’acqua), sono sempre libera di agire come penso sia meglio per me?

In realtà, mi è sembrato di capire che, la questione del velo, per esempio, non sia unanimamente riconsociuta come questione religiosa, ma piuttosto come soggettiva, derivante dalla visione di una sola parte dell’islam. Tanto che alcune la interpretano come atto di sottomissione a dio, altre come protezione, altre se lo mettono solo in alcune occasioni, altre non se lo mettono proprio. Molte donne islamiche che vivono in occidente, spesso, prendono l’uso del velo nonostante nel loro paese di origine non lo usassero. Appare come una come forma di difesa, come reazione verso una cultura diversa che le aggredisce, un bisognodi affermare la propria identità. Forse si può definire questa reazione come ‘shock culturale’, uno stato di ostilità e ansia verso la cultura che ci ospita ed è molto diversa dalla nostra, uno stato diverso per ogni persona e situazione. Uno stato che può comportare come reazione l’utilizzo del velo.

E’ ovvio che, dal nostro punto di vista, rifiutiamo la possibilità che una donna velata sia una donna libera, perché questa pratica culturale (per difesa o per religione), sembra essere una limitazione all’espressione di se, come noi la conosciamo. Ma come dicevo, la libertà non è nel non uso del velo, quanto nella libertà di portarlo o no. Cioè bisogna combattere per questa libertà di scelta, affinché portarlo o non portarlo sia possibile in senza subire pressioni o sanzioni, sia religiose che laiche. Così come abbiamo combattutto per poter scegliere se sposarci o no, se avere rapporti sessuali o no, senza che questo determinasse il nostro valore, perché frutto di scelte personali insindacabili.

Il femminismo islamico o il femminismo nel mondo islamico, non è riducibile comunque alla sola questione velo sì/velo no, così come non è pensabile che esista solo una corrente islamista (la quale non è molto dissimile dalla corrente occidentale che identifica la donna nella madre, si pone a difesa della famiglia, della divisione dei ruoli ecc.), che lo definisce per intero, come sembra fare l’articolo 2. Esistono anche correnti laiciste nel mondo islamico o moderate.
Proprio per questo ribadisco che, in ogni caso, comprendo le obiezioni mosse nell’articolo 1, sia come rivendicazione di autonomia, sia come reazione ad una visione che, magari con le migliori intenzioni, diventa impositiva e cancella le possibilità di risposta originale da parte delle altre culture, e degli altri soggetti, a problemi fondamentalmente simili, quali sono quelli della discriminazione delle donne.
Ho scritto questa risposta prima di leggere quella di Viviana, con la quale pure mi sento in sintonia.

Grazie ancora Feminoska per le traduzioni!

Feminoska scrive:

Prego 😉
ho letto i due pipponi (!) e vorrei solo fare alcune precisazioni in merito 😀

Allora, io sono d’accordo al 1000% sui discorsi legati alla critica del capitalismo come oppressivo, il lavoro ecc.ecc.
Proprio ultimamente mi sono trovata a pensare tristemente agli esseri umani occidentali, che vivono inseriti a forza e schiacciati volenti o nolenti dal sistema capitalistico, come davvero simili agli animali da reddito (è un paragone metaforico ed estremizzato, ma anche se a noi non tagliano la gola dopo pochi anni di vita, non è che siamo tanto più liberi, anche se ci sembra di essere proprio ad un altro livello).

Detto questo, credo che nello smantellare una cultura oppressiva ogni persona/società/ecc. si trovi prima di tutto ad affrontarne gli aspetti più palesemente estremi per, una volta smantellati quelli, iniziare a fare le pulci a tutto il resto. La presa di coscienza politica avviene generalmente per gradi, e non in stile ‘guerra globale’ contro il sistema, altrimenti, come dice Serbilla, a un* viene voglia di farsi fuori giusto per risolvere il problema alla radice!!

In questo senso credo che la Haddad – come molte altre donne arabe – senta come istituzione primariamente oppressiva quella religiosa, che oltre a tutto per quanto riguarda l’Islam diventa anche PRATICAMENTE uno stile di vita (molto più di quanto avvenga ora per il cattolicesimo che, volente o nolente e perlomeno per quanto riguarda le pratiche delle persone comuni, si è fortemente secolarizzato). Con questo ‘praticamente’ intendo che non si tratta solo di precetti che informano in maniera obliqua la vita delle donne – come è per la religione cattolica ad esempio, pensiamo al discorso dell’obiezione di coscienza all’aborto, che comunque con tutte le difficoltà del caso riesce per ora solo a ostacolare ma non impedire la messa in pratica della 194 – ma lo fanno direttamente, poiché le donne vengono costrette – da padri, mariti, fratelli, e qualsiasi altra figura maschile che intorno a loro graviti – ad adottare un certo stile di vita, e chi non lo fa riceve MINACCE DI MORTE – o viene ammazzata proprio! Direi che questo può giustificare eccome un accanimento contro la religione, mi pare corretto in linea teorica il considerare la religione alla stregua di tante altre istituzioni oppressive, ma nella pratica ci sono dei distinguo da fare…c’è ancora un certo discrimine tra la morte politica e sociale lenta che ci infligge il capitalismo (terribile, certamente) e la morte per mano dei tuoi parenti maschi!

Sul discorso ‘Femen’ vorrei far notare che, se anche in certi atteggiamenti possono essere tacciate di colonialismo – a me pare una definizione un pò forte, forse direi più di ‘protagonismo’ che mi pare più in sintonia con la nostra cultura occidentale – non può essere portata avanti una tale posizione nei confronti della Al-mahdi, a cui nessun* pare fare troppa attenzione!
E proprio su questo apro una parentesi polemica in merito: nel primo articolo della Salem, il centrare il discorso sulle Femen non mi pare per nulla corretto intellettualmente.

A partire dal fatto che le Femen non sono lo ‘stato dell’arte’ del femminismo occidentale o meno – dato che esso non esiste!, – ma solo una espressione di un tipo di femminismo – certo è evidente che il focalizzare l’attenzione su questo gruppo da parte dell’autrice dell’articolo, ha l’immediato effetto di oscurare e portare in secondo piano la vera protagonista della vicenda – una donna, egiziana, che in barba alla propria cultura di riferimento ha deciso di spogliarsi per denunciare l’oppressione in cui sente di vivere, e lo ha fatto sia nel proprio paese d’origine che in un luogo dove ha la possibilità di mettere in atto questa forma di protesta senza rischiare di essere ammazzata.

Dunque il gesto della Al-mahdi viene derubricato in quanto messo in atto da una donna GIUDICATA ‘colonizzata’ e quindi succube di una cultura altra, e non autodeterminata. A me pare che il giochetto del ‘io sono più consapevole/autodeterminata/femminista di te e ti dico cosa devi fare tu se vuoi essere come me’ sia un pò cifra comune di troppi discorsi, femministi e non solo, e sia presente anche qui!

Si può legittimamente ipotizzare che la rigidità della Haddad e la posizione assunta dalla Al-mahdi derivino in maniera diretta dall’oppressione reale e non solo metaforica che alcune donne sentono di vivere nei propri paesi d’origine? Sembrerebbe corretto a questo punto problematizzare anche la questione non irrilevante che il velo SCELTO e indossato fuori dal proprio contesto di origine in paesi occidentali – dove comunque alle donne sono garantiti tutta una serie di diritti (almeno in linea teorica o superficiale, e non apriamo discorsi sul senso stesso dei ‘diritti’ che ci vengono tolti in quanto esseri liberi, per esserci nuovamente ‘concessi’ a discrezione di stati e governi, se no non ne usciamo viv*!) – NON E’ lo stesso che essere COSTRETTE a portarlo e rischiare di essere ammazzate perché non si vuole farlo, o per via di una foto nuda postata online nel proprio paese d’origine. La nostalgia delle proprie origini a volte addolcisce pillole molto amare, e soprattutto falsa la percezione della realtà che ci si è lasciati alle spalle, che pare tornare in qualche modo accettabile e/o desiderabile, ma che a conti fatti non è così (vi ricordate la trama di Persepolis?)

Perciò in sostanza… perché avercela con la religione in particolare? Perché è vero che si tratta solo di una delle forme dell’oppressione sulle donne, ma è anche la più pericolosa e violenta e infida tuttora, a pochi giorni dal 2013 (credo lo sia anche qui in Occidente, poiché la religione dà alle persone alibi morali per credersi ‘buoni’ quando in realtà opprimono le altre persone) e dà sostegno e giustificazione DIVINA a tutte le altre forme di dominio.
Nessuna idea è più perfetta – e perciò inattaccabile – dell’idea di dio, ed è perciò che dio, qualsiasi dio, deve crollare innanzitutto!

Anche il capitalismo mi è nemico, certamente: ma bisogna anche essere realiste sapendo che una lotta procede per passi avanti, e che la lotta tout-court contro tutt*, la lotta perfetta, la coerenza totale….sono al massimo una pia illusione. Lavorare perciò (così come il guadagnare della Haddad tramite il copyright sui libri citato da Vivi) può rappresentare per molt* di noi, oggi, l’unica via emancipatoria per ora possibile in un mondo che non riconosce il diritto al reddito di esistenza… bisogna pensare anche a queste cose, ma questo non significa che perciò il capitalismo sia buono, ma solo che oggi se ne possono usare degli strumenti per sopravvivere un pò meglio, ma la critica è sempre necessaria!

Il colonialismo citato nell’altro articolo è per me invece un escamotage retorico per delegittimare la voce di una donna egiziana che si è, nel bene o nel male, autodeterminata. In quanto alle Femen, si comportano coerentemente a quello che sono. Può non piacerci ma dire alle donne musulmane “sorelle, spogliatevi” non è lo stesso che costringerle a coprirsi pena la morte come fanno i ‘fratelli musulmani’.

Non dobbiamo pensare da colonizzatori, e va bene, ma basta anche all’ossessione di colpevolezza e peccato che ci è stata regalata da millenni di predicazione cattolica! Non esiste solo la sindrome di Stoccolma, ma anche quella dei flagellanti! Dunque,a partire da ciò, come ci rapportiamo a quelle persone che rivendicano metodi di lotta che nei paesi d’origine sono sanzionati con la morte? Diciamo “scusa sai, rischio di essere colonizzante, perciò ca..i tuoi’, o ci schieriamo comunque in difesa del diritto ad ognun* di esprimersi in libertà? Perchè a me pare chiaro nel primo articolo che chi rivendica il diritto di essere femminista e islamica col velo comunque con giri di parole assai obliqui sta rimproverando una donna egiziana di essere stata ‘inopportuna’. Questo non è imporre il proprio pensiero comunque?

Nessun* ha obbligato qualcuno a spogliarsi, nemmeno le Femen. Non sono certo andate in giro a strappare i burqa di dosso alle donne arabe, hanno messo in atto una performance coi propri corpi e hanno lanciato un invito. E suggerire a una donna di farlo non implica un obbligo. Scusatemi, ma sui termini bisogna essere chiar*, se no si finisce sempre schierati come soldatini.

Io sono abbastanza critica del ‘femminismo islamico’ o cattolico o qualsiasi altra ‘strana coppia lessicale’. Credo che a livello concettuale non sia proprio la
stessa cosa rispetto al mio essere femminista e appartenere ad una società capitalista: tanto per dirne una, perché io il capitalismo lo subisco… magari a volte ne sfrutto i lati positivi per me, ma non lo giustifico, non cerco di integrarlo nella mia visione dell’esistenza o nella mia politica, per lo più lo subisco. Per questo motivo credo che la Haddad e quelle come lei abbiano ragione quando dicono che femminista islamica sia un ossimoro. Penso che ciò che intende con questo non sia delegittimare il percorso politico di quelle donne, ma rendere chiaro che ci sono cose con cui si può, o meglio, si deve scendere a patti nel proprio percorso politico, ma non ammantandole di un’aura positiva che non hanno. E le definizioni ne sono poi diretta conseguenza, e dato il peso delle parole che non sono solo portatrici ma anche creatrici di significato, bisogna essere attent* nell’utilizzarle.
Così come io subisco il capitalismo ma non lo sposo dentro di me e non esiste una concetto positivo di ‘femminista capitalista’ non può esistere un concetto positivo di ‘femminista islamica’, ma una realtà di femministe che subiscono una religione monoteista caratterizzata da un dio padre che privilegia i propri figli maschi.

E no, non credo che il capitalismo su di me sia violento allo stesso modo della religione islamica su di una donna islamica.

Serbilla scrive:

Beh certo, essere lapidate per adulterio è un tantino diverso dall’essere sfruttati dal capitalismo in Italia oggi.

Vivi scrive:

Io non ho la capacità di muovere una guerra globale contro l’intero sistema ma penso che in una critica (non pratica) sia giusto tenere presenti più punti, altrimenti si finisce a pensare che risolto un problema gli altri verranno di conseguenza e per me non è proprio così. Per questo condivido l’idea di lotta per livelli, dove da una parte metti le pezze per sopravvivere nel sistema e dall’altra crei idee ma anche esperienze, realtà che hanno lo scopo di rompere con esso.

Non ho mai messo in dubbio la legittimità della critica dell’Haddad nei confronti della religione (fa bene a farla), ne ho solo criticato i modi. Inoltre non ho alcuna intenzione di rendere uguali violenze diverse, volevo solo dire che di istituzioni o pseudo-fedi ne siamo pieni. Non credo che il capitalismo generi solo morte politica o sociale, ma anche tant@ mort@ sul lavoro e tanta gente che si becca tumori o altre malattie gravissime perchè il capitale viene prima di tutto. Sono morti diverse per origine e modi, ma sempre di vite spezzate si tratta.

Per quanto riguarda le Femen ho detto solo che l’atteggiamento delle Femen, qualora le dichiarazioni fossero giuste, appariva di stampo colonialista… mentre non penso assolutamente che la Al-mahdi possa esser tacciata di colonialismo.

Inoltre condivido con Feminoska l’idea che aver citato le Femen e averle mosso delle critiche abbia offuscato l’azione della Al-mahdi. Però non condivido la sua lettura dell’articolo. La Salem dice “Mentre l’azione di caricare online una propria foto nuda può essere vista come una modalità di messa in discussione delle norme della società patriarcale, la collaborazione con un gruppo che può essere definito come un movimento femminista coloniale deve essere problematizzata.” quindi non mette in discussione la scelta di usare il nudo ma il fatto che questa pratica sia imposta, a suo dire, dalle Femen, come unica pratica. E su questo credo che, qualora fosse realmente imposta, la critica sul presunto colonialismo possa esser corretta.

Sulla questione del velo e sulla differenza tra indossarlo in paesi occidentali per scelta ed essere costrette a farlo nel proprio paese, mi preme precisare non ho mai detto che fossero la stessa cosa. Penso solo che bisognerebbe lottare non per eliminare il velo ma per renderlo un’effettiva scelta (questo è quello che credo si debba fare ora, in questo sistema di merda, poi è ovvio che l’obiettivo ultimo sarebbe l’eliminazione delle religioni, ma prima che ci arriviamo non possiamo imporci alle altre). Sul discorso dei diritti posso anche capire che sia pesante leggere cose dette e ridette, ma per me il punto è che noi, anche se agnostiche o atee, con il capitalismo abbracciamo comunque un dio, il denaro. Provate a vivere non rispettando le sue regole e penso che avrete, non le stesse violenze di quelle delle donne islamiche, ma comunque non ne uscirete molto bene. Penso che qualcuno dovrebbe pur iniziare a dire che esistono anche altri dei che non sono religiosi.

Ritornando alla questione del capitalismo, ribadendo che non prospetto la lotta perfetta, mi preme dire che, per me, nelle analisi bisognerebbe esser corrette e non definirsi migliori/più femministe o cavolate simili di altre perché se come dici tu si lavora per poter sopravvivere, perchè non concedere tanta clemenza anche alle altre?? Queste donne ora stanno provando a reagire ad un’oppressione millenaria. Lo stanno provando a fare dall’interno (azione controproducente per me) ma tanto diversa da alcune nostre azioni? Quando chiediamo leggi noi che cosa facciamo? Non legittimiamo un sistema che ci rende tutti minorati? Eppure lo facciamo perchè per il momento è questo che si può fare ed anche perchè tale azione può tutelare aiutare delle donne. Secondo voi leggere il corano in versione femminista, diciamo così, facendo passare l’idea che Allah non ha mai detto che l’uomo può picchiare la donna, per esempio, non è paragonabile a ciò che facciamo noi? Lo scopo, seppur i mezzi in ogni caso non li condivido, è quello di diminuire le violenze. Scusate ma io non mi sento diversa da queste donne e per questo, pur non condividendone la scelta, non voglio pormi al di sopra di loro, giudicandole non femministe. Loro hanno lanciato degli imput, che potrebbero portare altre a cambiare rotta e a mettere in discussione l’esistenza stessa di Dio.. chi ce lo dice a noi che non accadrà?

Condivido con feminoska l’idea che “dire alle donne musulmane “sorelle, spogliatevi” non è lo stesso che costringerle a coprirsi pena la morte come fanno i ‘fratelli musulmani’” ma aggiungo che e se mi dici che spogliarsi è l’unico modo non sei diversa da chi mi costringe a coprirmi: se non rispetto le prime sarò considerata non femminista, se non accetto l’altra imposizione vengo uccisa. Certo, la morte rispetto ad una delegittimazione è una violenza non paragonabile, ma non credo che, almeno noi, dovremmo fare discorsi su quanto una violenza è tale.. per me il problema è la violenza, anche se fosse la più insignificante e stupida di questo mondo, per me non potrebbe essere tralasciata perchè infondo esistono altre violenze più grandi.

Sull’ossessione di colpevolezza che ci porterebbe a non schieraci per non risultate colonizzatori, preciso di non aver mai voluto dire una cosa del genere ne me la sogno di dire XXD Il discorso sul colonialismo l’ho fatto proprio per rispettare tutte le scelte e non andare lì, come le maestrine, a dire cosa va bene e cosa no. Quindi se ti spogli io sono con te, come se non lo fai perchè per te quella è una violenza.

Sulla lettura dell’articolo fatta da feminiska, pur condividendone la critica sull’aver offuscato l’azione di Al-mahdi, penso che la Salem volesse solo chiarire che loro appoggiano la loro conterranea ma non le idee delle Femen che sono aut aut, almeno così come vengono proposte e non che si stia rimproverando ad una donna egiziana di esser stata “inopportuna”.

Condivido l’idea che le Femen non vadano in giro a strappare i burqa di dosso alle donne arabe e che si siano limitate ad invitarle a farlo, però è anche vero che la frase “Come società non siamo state in grado di sradicare la nostra mentalità araba nei confronti delle donne” mi sa tanto di colonialismo. Il problema non è la cultura araba, ma una visione della donna che ritroviamo ovunque e che viene alimentata in modi diversi.

Infine, ritornando al concetto di femminista capitalista e femminista islamica, per le quali concordiamo non possa esistere un “concetto positivo”, penso che per rendere un’analisi corretta basterebbe non dimenticarsi dell’altro e questo non vuol dire volere la guerra globale, perchè non ti costa nulla, se non coerenza, ammettere che sei tu stessa vittima di un dio che si chiama capitale e che non ti rende libera, te ne dà solo l’illusione. Detto questo poi ognun@ è liber@ di dedicarsi alle lotte che più gli sono vicine… io infatti, seppur sia vittima di milioni di violenze, ho deciso di dedicare molta parte della mia vita allo smantellamento della pedagogia statale. Nel farlo però non voglio pormi come una che si è liberata e parla alle povere schiave-sceme, ma come una di loro che ha ancora tanta strada ma cerca di liberarsi il più possibile e che spende le proprie energie nella lotta in cui pensa di poter dare più aiuto.

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2 Responses

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  1. Igor Giussani says

    Scusa Enrica, ma non potrebbe più semplicemente trattarsi di donne che decino di prendere dall’Islam – la base culturale su cui sono nate – ciò che condividono scartandone il resto?

  2. Enrica says

    Ma se l’Haddad non ha mai voluto definirsi femminista! e nel suo libro “Ho ucciso Sharazad” dice di essere una “fanatica della femminilità” e che “nonostante lei sia una donna in carriera e ben remunerata detesta dover pagare il conto al ristorante quando un uomo la porta a cena fuori” e adesso lei ci viene a dare lezioni di femminismo?
    Sono d’accordo su molti dei punti esposti da voi tutte ma credo che qui ci dovremmo focalizzare solo sul problema religione che non reputo assolutamente compatibile con il femminismo. Sembra che ultimamente però non si possa muovere alcuna critica all’Islam senza essere tacciati di islamofobia. Non starò a perdere tempo a parlare degli orrori del cattolicesimo (che conoscete benissimo) per cui mi limito ad osservare che i precetti del Corano non si possono equilibrare in alcun modo con la pratica femminista, basta leggerlo per rendersene conto, proprio come la Bibbia. Il velo? sì torniamo a parlare del velo, questione imprescindibile. Moltissime donne musulmane scelgono liberamente di indossarlo, ci mancherebbe, ma perchè scelgono di farlo? Spesso la religione c’entra ben poco e definirsi musulmani è più un discorso di identità culturale. Ci sono tantissimi arabi che si definiscono musulmani ma che poi nella pratica non lo sono. Cosa intendiamo per femminismo? (ahimè mi sa che c’è ancora confusione, basta guardare gli ultimi sviluppi) come si pone l’Islam rispetto a realtà LGBQT ad esempio? e sull’aborto? e sull’entrata nella pubertà delle bambine? Parliamone ancora, ce n’è un gran bisogno.