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Corpi Precari (e di Servizio)

Ieri a Firenze si è svolto un incontro a cura dell’Associazione Corrente Alternata: “Conversazioni Precarie” e ad una di noi – dopo una carrellata di bellissimi interventi – è toccato parlare di comunicazione e precarietà. Ecco le slides in jpg pubblicate su Archive.Org. Sopra potete vedere la carrellata in video e in basso il testo. Buona (visione e) lettura!

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Femminismo interclassista? Anche no!

Non crediamo nell’unione delle donne in quanto donne (la Fornero non ci rappresenta e le donne che supportano riforme per il lavoro e piani del welfare che ci rendono dipendenti e precari/e neppure).

Collettivo misto -di uomini e donne- uniti dagli stessi obiettivi: antisessismo, antirazzismo, antifascismo, antispecismo. Consapevoli del fatto che le lotte si fanno insieme perché siamo tutti “Corpi Precari” o “Corpi di servizio”.

Corpi precari e di servizio

Sono corpi di persone che non possono emanciparsi dal bisogno e che sono obbligate a vivere in stato di dipendenza.

Sono corpi di persone ricattabili, sottomesse, subordinate, svantaggiate, discriminate, che non hanno accesso ad alcun privilegio.

I corpi delle persone vengono usati per:

La produzione
I consumi
La riproduzione
La cura
L’intrattenimento

La produzione può essere:

Materiale
Immateriale

La riproduzione è:

obbligatoria (no 194, contraccettivi, ivg, sessualità non riproduttiva)

normata (relazioni esclusivamente etero, medicalizzazione di ogni altra forma di sessualità)

Ammortizzatori sociali

La famiglia
Le donne

Il lavoro di cura

viene svolto gratuitamente più spesso dalle donne nei confronti di uomini, disabili, vecchi, bambini.

L’intrattenimento (quasi sempre di “competenza” delle donne):

di tipo ludico (televisivo, cinematografico, attraverso ogni media)

sessuale (che rientra anche nei compiti di “cura”).

L’organizzazione sociale si compone di:

donne apprendiste (addestrate sin dall’infanzia a svolgere i ruoli descritti e abituate a ritenere che per “natura” le donne siano forti, pazienti, premurose, con attitudine alla cura, con istinto materno);

donne sottoposte a tutoraggio (perché comunque ritenute inaffidabili e dunque da medicalizzare)

donne affidabili (le kapo’ che si assicurano che tutte noi svolgiamo i compiti descritti)

In una società il cui welfare si regge sui corpi delle donne non può esserci alcuna diserzione

Qualunque donna intenda autodeterminarsi deve essere costantemente criminalizzata e/o medicalizzata.

Le donne che non svolgono i compiti di riproduzione/produzione/cura/intrattenimento subiscono una dura repressione.

Quelle che vogliono autodeterminarsi vengono chiamate assassine, terroriste, violente.

Le migranti che non vogliono svolgere il ruolo di badanti o che non intrattengono persone di alto rango vengono rinchiuse nei Cie.

Le violenze subite dalle donne diventano trascurabili perché funzionali come effetti collaterali dell’organizzazione del welfare.

Le donne che vengono valorizzate sono mogli, madri, economicamente dipendenti.

Allo stesso modo i corpi degli uomini vengono impiegati nella produzione un minimo retribuita per garantire il flusso dei consumi.

Con contratti precari.

Poche possibilità di carriera.

Obblighi di mantenimento nei confronti di mogli (non autonome) anche dopo la separazione

Lo Stato delega loro l’onere di retribuire “simbolicamente” il lavoro di cura delle donne che produce un Pil utile per il buon andamento dell’economia

Agli uomini viene offerto potere/moralizzazione/sorveglianza/controllo sulla vita di quelle che devono svolgere lavori di cura/riproduzione/intrattenimento facendo loro ritenere che godano di qualche privilegio.

Il ruolo di aguzzini che censura la vita/sessualità e le scelte delle donne non si può disertare, così come non si può disertare il ruolo riproduttivo di marito (etero) e padre (ancora etero) funzionale all’organizzazione del welfare.

Gli uomini che perdono il lavoro risentono di una perdita di senso, di ruolo sociale, di status.

Le donne che non sono madri e mogli portano lo stigma della colpa, della responsabilità sociale circa la perdita di valori, principi ed elementi di solidità sociale.

Tutti i disertori e le disertrici sono considerati responsabili di disgregazione sociale.

Malafemmina

La nostra ricerca parte dall’osservazione dei media, soprattutto quelli che agiscono sul web.

Il loro linguaggio è preciso e la modalità attraverso la quale ci raccontano i motivi per cui dovremmo ritenerci orgogliosi di fare parte di un simile piano e di interpretare i ruoli che ci vengono assegnati è più o meno sempre uguale.

La narrazione usata è nazional-popolare.

Sempre più spesso si fa ricorso alla diffusione di pornografia emotiva e sentimentale (storie che producono commozione ed evocano processi di identificazione).

Le immagini ricorrenti sono quelle tipiche di qualunque dittatura.

Le violazioni dei nostri più elementari diritti vengono fatte passare come variazioni sul tema della libertà nel mondo in cui tutto può accadere.

La figura del precario o della precaria viene descritta in modo denigratorio, quasi che precaria lo sei perché non sei capace (fannullon*, bamboccion* etc).

O ci rendono invisibili, confusi tra i numeri delle statistiche, disumanizzati, senza consistenza, salvo attenuarla quando ci presentiamo in piazza e ci attende la repressione.

Abbiamo studiato a fondo il modo in cui si raccontano modelli di vita e si impongono modelli di comportamento e abbiamo provato a realizzare un esperimento di comunicazione politica militante.

Nell’epoca dei miti abbiamo inventato un mito, un’icona del nostro tempo, un personaggio studiato a tavolino che restituisse appeal alla precaria, una donna: Malafemmina.

La sua narrazione:

da un punto di vista di genere;

trasgressiva;

che ribalta valori e punti di vista correnti;

Che vuole liberarsi da sola;

che rivendica la libertà di scelta e agisce la precarietà in chiave antiautoritaria.

Malafemmina (come tante donne di oggi):

non cerca tutele e assistenzialismi;

Si autorappresenta;

odia le politiche di conciliazione famiglia/lavoro;

non si realizza nella maternità;

vive una sessualità non normata;

non intende essere economicamente dipendente da nessuno.

Il linguaggio usato per narrarla è:

nazional/popolare/militante

Il racconto si svolge:

in prima persona (per sollecitare processi di identificazione e offrire un modello positivo);

il tono evoca intimità (la protagonista si spoglia di fronte ai lettori/lettrici e si fa toccare)

Risultati:

migliaia di visite al giorno sul blog;

migliaia di adesioni sul suo profilo facebook/twitter;

citazioni della sua esperienza presso media mainstream;

una alta partecipazione ricca di interventi di altre donne e uomini stimolati
dall’autonarrazione a uscire dall’invisibilità;

è diventato un punto di riferimento collettivo e da lì si è realizzata una ulteriore rete sociale;

Siamo tutte Malafemmine: eroine del nostro tempo che non si rassegnano.

Altri esperimenti sono tuttora in atto e l’obiettivo è:

rendere “popolari” e fruibili dei contenuti difficili da divulgare;

Dare appeal alla figura della precaria;

Indurre l’autorappresentazione;

fornire strumenti culturali che aiutino a fare maturare consapevolezza;

far assumere una coscienza di classe che non sia distinta da una lettura di genere dove il genere c’entra comunque molto con le questioni di “razza” e di “identità politica”.

Perché, esattamente come – secondo noi – non può esistere un femminismo interclassista che metta assieme persone sulla base dello stesso sesso, senza tenere conto delle altre differenze, non dovrebbe essere plausibile neppure un patto trasversale tra persone di ogni etnia, identità politica e sesso solo perché uniti dalla precarietà.

Noi non possiamo lottare assieme a fascisti, cripto-fascisti, terzoposizionisti (quelli contro le banche che parlano di signoraggio), rosso bruni, razzisti, sessisti (di qualunque etnia e cultura) perché se lotti contro la precarietà devi sapere che se sei fascista, razzista e sessista sei funzionale alle regole autoritarie del capitalismo.

Per documentazione, analisi ed esperienza grazie a http://femminismo-a-sud.noblogs.org
Grazie a http://malafemmina.wordpress.com
Per contatti: fikasicula[at]grrlz.net

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Fem/Activism, Iniziative, Precarietà, R-esistenze.


3 Responses

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  1. Paolo84 says

    “Chi vuole una relazione stabile (etero o omo), una famiglia ecc..non è meno autodeterminato di chi non la vuole”

    e una relazione stabile sana prevde rispetto e sostegno reciproco, ovviamente

  2. Paolo84 says

    per quanto riguarda il cinema non sono d’accordo, se c’è una realtà che offre figure femminili e maschili plurali e credibili (che commuovono e fanno ridere, appassionano e generano identificazione, perchè no?) è quella.
    Sul lavoro di cura: nel rapporto di coppia ci si prende cura l’uno dell’altra, quando uno dei due soffre l’altro gli sta vicino o così dovrebbe essere ed è bellissimo
    sulle politiche conciliative..credo che i congedi di maternità siano importanti e semmai bisogna chiedere pure quelli di paternità.
    Che ognuno si realizzi come vuole e può
    comunque una donna che vuole essere madre non è solo per questo meno autodeterminata di chi non vuole.
    Chi vuole una relazione stabile (etero o omo), una famiglia ecc..non è meno autodeterminato di chi non la vuole

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  1. conversazioni precarie « corrente alternata linked to this post on Agosto 17, 2012

    […] comuni. Tutto il testo dell’intervento di Enza, completo di slide lo potete trovare qui: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/06/02/corpi-precari-e-di-servizio/ Share this:TwitterFacebookLike this:Mi piaceBe the first to like […]