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Femminismo all’improvviso. Contributo di A.L.M.A.Blog

Condividiamo questo post pubblicato sul blog collettivo A.L.M.A. scritto da Migena Proi con una riflessione sull’appello Mai Più Complici.

Buona lettura!

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Non è facile rivestire i panni del cinismo. E’ molto più semplice crogiolarsi nel possibilismo e che credere che una serie di “può” porti alla soluzione di un determinato problema. Mi riferisco nello specifico all’appello MAI più COMPLICI promosso dal comitato “Se non ora quando”, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo – Il corpo delle donne.

Ecco, io credo che un simile appello non può proprio nulla. Esso ha avuto ampia risonanza in quotidiani quali l’Unità e La Repubblica (qua potete firmare la petizione), senza che nessuno – faccio riferimento ai canali “ufficiali” – abbia messo in discussione questa iniziativa, o quantomeno discusso seriamente i pro e i contro. E’ piuttosto accaduto quello che accade per qualsiasi avvenimento della nostra società. I media hanno trasformato in triste show la violenza sulle donne, senza focalizzarsi seriamente sulle cause culturali da cui questa violenza scaturisce. Uomini che si reputano “padre padrone padreterno” – prendo in prestito l’espressione di Joyce Lussu – tolgono la vita a quelle che reputano di loro proprietà. Purtroppo, la complessità di un tema del genere, che richiederebbe analisi a più livelli, è stata appiattita su un numero: cinquantaquattro, ovvero il numero delle donne che da inizio anno sono state ammazzate. Ricorre in maniera ossessiva negli articoli o nei servizi televisivi il numero 54. Sembra che tutto sia stato ricondotto a una questione di quantità. E’ la quantità quella che ha fatto gridare allo scandalo e all’emergenza. Se invece di 54 le donne uccise fossero state – che so – 30, non c’era abbastanza odore di morte per fare del melodramma. Se le donne fossero state – che so – 15, non valeva neanche la pena di sprecarci l’inchiostro. La morale giornalistica della favola appare essere: la violenza compiuta su soggetti non quantitativamente appetibili per il pubblico, non è degna di nota. L’appello stesso – ovvero l’appello di coloro che dovrebbero essere dalla parte delle donne senza retorica e senza mezzi termini – inizia proprio con il termine “cinquantaquattro”. Per poi proseguire dicendoci che le donne muoiono per mano di coloro che le sono vicini, che è ora di dire basta e chiamare con il proprio nome queste crimini, ovvero FEMMINICIDI. Ecco, io mi domando: ORA è ora di dire basta? E’ ora che all’improvviso ci rendiamo conto che chi uccide le donne non è l’uomo che proviene dall’est, ma quelli che hanno stretti legami con le donne? E’ ora che abbiamo scoperto l’esistenza del termine FEMMINICIDIO? Qualcuno dei possibilisti potrebbe replicare dicendo “meglio tardi che mai”. E no, cari miei, se dobbiamo affrontare la violenza di genere con tutta questa retorica, questa stupida chiamata alle armi, io credo che non arriveremo proprio da nessuna parte! E tra un pò di tempo – giorni o forse ore – saremo alle prese con qualche nuova petizione. Io credo che l’informazione, almeno quella mediaticamente rilevante, debba fornire gli strumenti interpretativi a certi numeri, senza fare di tutta l’erba una continua emergenza. Ricondurre gli eventi a semplice “emergenza”, è come negare ad essi la propria esistenza nella storia: è bello pensare che solo ORA c’è in Italia il problema di una mentalità contraria alla piena libertà reale delle donne. Provate a fare un giro la mattina per i bar e sentirete le persone ripetere, come pappagalli tristi, il numero 54 . Cosa avranno capito o cosa vorranno realmente capire del termine “femminicidio” ? E’ che ormai ci hanno talmente tanto abituati a ragionare per stereotipi – rumeno/violentatore- che non siamo più in grado di darci delle spiegazioni là dove lo stereotipo non si regge in piedi. Non si può, inoltre, non notare che questo numero impressionante di donne ammazzate e l’appello di Snorq hanno risvegliato gli animi sensibili di personaggi di spicco della vita pubblica italiana. Da Bersani a Saviano, dalla Camusso alla Polverini, tutti hanno voluto dire la loro. Allora io mi chiedo questi uomini, questi politici, o come preferite chiamarli, hanno mai messo piede in un centro antiviolenza? Si sono mai interessati alla questione femminile in Italia? Prima di aderire all’appello di Snorq, si sono realmente chiesti se questo appello era la giusta direzione per lo scopo che dice di prefiggersi? Ma forse tutti questi quesiti erano estranei alle loro agende politiche o alla loro scaletta televisiva (!). Nessuno può dire di non sapere. Ci sono siti come Bollettino di Guerra che puntualmente riportano informazioni sulle violenze maschili contro donne e bambini/e, curati da persone che non aspettano un appello per interessarsi alla violenza, persone che dedicano la loro quotidianità alla causa nella volontà che la verità non venga mistificata. Ecco io mi domando: voi che oggi vi preoccupate di un essere con seno e fica, dove eravate fino a ieri? Non vi mortifica la vostra ipocrisia rispetto a chi quotidianamente si “sporca” le mani? Vorrei, infine, spendere due parole sull’intervista dell’Unità a Filippo Timi (attore e firmatario dell’appello MAI PIù COMPLICI) , senza nessun intento denigratorio, quanto piuttosto per pura volontà di analisi. Sembra che i toni e le espressioni usate dall’attore nelle risposte, siano quelle che io userei se qualcuno mi facesse un intervista sul calcio ( argomento sul quale ho una totale ignoranza): ” c’è una palla in un campo, ci sono due porte, è molto stancante per questo i calciatori guadagnano molto, eh si… alla fine vince solo una squadra”. Ecco la stessa sensazione di vacuità culturale ho avuto leggendo l’ intervista. Ci dice che lui ha avuto la fortuna di imparare la parità dei sessi grazie al rapporto che avevano i suoi nonni. E l’ha capito perchè la nonna che sembrava sottomessa era in realtà quella che prendeva le decisioni. Ovvio no! Un rapporto del genere non può che definirsi “paritario”(!). E’ stato speso non so quanto inchiostro per capire la genesi della violenza sulle donne, riflessioni a volte ben fatte, a volte inconcludenti, ma sempre con la volontà di andare oltre l’ovvio (penso al “Secondo sesso” di Simone de Beauvoir). E invece Timo liquida la questione dicendo : ” Difficile provare a individuare le cause che possono esserci dietro. Immagino che un balordo scelga di approfittarsi di una donna anziché di un uomo perché pensa sia più facile farlo”. Poi, sempre secondo Timo, una parte del problema sono le ragazze disposte a spogliarsi per fare successo. Mi verrebbe da dire: e allora? Non vedo quale sia il problema, se riconosciamo agli altri la piena libertà di decidere delle proprie vite, dobbiamo riconoscergli anche il diritto di spogliarsi dove ritengono opportuno. Non amo queste derive moralistiche su come si dovrebbe arrivare al successo, anche perchè allora bisognerebbe indagare tutto il sistema che permette a chi non ha particolare talento di arrivare al successo. In questo caso,allora, non sarebbe una questione di corpi che sono disposti a spogliarsi, quanto piuttosto del potere che gestisce questi corpi. Mi sarebbe piaciuto che si fosse dato voce a chi la violenza sulle donne e tutto ciò che c’è dietro la conosce, perché la vede e se ne occupa quotidianamente. In conclusione, dato che ormai gli appelli si sprecano e io non verrei essere da meno, vi dico: diffidate da chi si focalizza sui numeri, leggete, studiate, cercate di capire, accantonate le verità “Istituzionali”, non crediate alle etichette, non crediate che “femminismo” sia una brutta parola, sappiate riconoscere chi sul serio vuole bene alle donne e all’umanità, e non chi si lava la coscienza sostenendo appelli vari.

Posted in Corpi/Poteri, Critica femminista, Pensatoio, Scritti critici.


2 Responses

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  1. Cinzia Abramo says

    Mi sono un po’ stufata di donne e di uomini che firmano appelli, le stesse donne e uomini che noi (sic) mandiamo in parlamento o negli enti locali, le stesse donne e uomini che poi permettono che vengano votati a maggioranza (parlo di giunte di centrosinistra ovviamente) i funerali dei feti, o lo smantellamento dei consultori pubblici, o la chiusura dei centri antiviolenza. Le stesse donne presidenti di regione (l’Umbria) che fanno fallire progetti di educazione alla sessualità in collaborazione con i consultori perchè i forum per le famiglie protestano. O quelle che permettono al movimento per la vita di entrare nei consultori. Quelle/i che votano l’affido condiviso senza pensare che molto spesso i padri violenti usano i figli per perpetrare violenza alle ex. Quelle/i che si riempiono la bocca con la conciliazione dei tempi vita lavoro e poi in parlamento votano misure drastiche che vanno a colpire scuola, tempo pieno, asili nido, fondo per la non autosufficienza. Le donne in Italia non possono conciliare nulla, sono costrette, visto lo smantellamento dei servizi pubblici a scegliere la famiglia e i lavori di cura, diventano cioè gli unici ammortizzatori sociali per la famiglia e per l’intera società. Diciamolo a gran voce: le donne in Italia vivono male per i più alti tassi di disoccupazione e precarietà, per minori guadagni a parità di compiti, per maggiori discriminazioni (mobbing e dimissioni in bianco), per il maggior carico familiare, per le conseguenze economiche di divorzi e separazioni, nonchè per la violenza domestica. La prima violenza contro le donne la fanno le istituzioni di destra e di centrosinistra ed è la precarietà e la dipendenza economica. Il rapporto Ombra ci da l’immagine di un’Italia che non è affatto un paese per donne, poco, anzi niente è stato fatto in termini di azioni positive (azioni di mainstreaming di genere) in tutti gli ambiti della vita sociale, nel mondo del lavoro, nella scuola, nell’Università, nelle relazioni familiari per contrastare la discriminazione di genere e per l’abbattimento di stereotipi sessisti. Nulla è stato fatto per contrastare quello che è il maggior problema strutturale della nostra società, cioè l’ineguale distribuzioni nelle relazioni di potere tra i sessi. Firmare appelli può essere utile se poi voti le leggi giuste e soprattutto se le finanzi adeguatamente…sennò è tempo perso e carta scritta che non serve a nulla.

  2. Iole Natoli says

    Riporto qui il commento scritto all’articolo in questione sul blog A.L.M.A.
    “Salve. Non faccio parte di coloro che conoscono direttamente i centri antiviolenza, ma della schiera di chi scrive (dal 1979) di femminismo e a volte, abbastanza di recente, ricorre agli appelli.
    Malgrado ciò, trovo molto pertinente l’analisi che ho appena letta. Il mio ultimo appello “NO AL FEMMINICIDIO”, lanciato il 27 marzo 2012 insieme a Francesca Rosati Freeman e preceduto da un massiccio invio di lettere di protesta agli OdG nazionali e regionali, era diretto al Capo dello Stato ed è stato portato successivamente a conoscenza di tutte le testate nazionali, cartacee e on line: verteva sul rapporto tra linguaggio mediatico e femminicidi. Mancando la risonanza potenziale data all’appello da un’adozione di SNOQ, nessuna testata giornalistica ha ritenuto di darne notizia… e sicuramente non solo perché gli strali si erano appuntati su un articolo di repubblica on line, dato che in tal caso sarebbe dovuta essere solo repubblica a tacere. Mancava l’appetibilità della notizia. Che dire?
    Verissimo che il sistema tende ad assimilare a sé ogni protesta, per farne non uno strumento di demolizione ma di sopravvivenza del sistema stesso; questo accade però per ogni protesta sociale, non solo per quelle femministe. Credo che, pur rimanendo vigili al fine di non illudersi di aver conseguito risultati profondi e durevoli SOLO con appelli vari, non sia il caso di demonizzarli più del necessario, dato che almeno qualche domanda nel pubblico riusciranno a sollecitare e che non tutte le risposte saranno così superficiali e deprimenti, come quella stigmatizzata – e giustamente – nel vostro testo.
    Iole Natoli
    giornalista pubblicista”