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Cosa c’entra la “gelosia” con le stragi compiute da uomini violenti?

Il ritaglio viene da repubblica online di oggi. Racconta di un uomo che fa “irruzione” dentro una casa, armato di fucile, comincia a sparare all’impazzata, ferisce l’ex moglie e ammazza il suo nuovo compagno e la madre di lei. Il titolo pretende di spiegarci tutto. La parola “gelosia” d’altro canto è stata usata questa settimana decine di volte, sempre per spiegare le “ragioni” di gesti irragionevoli, per trovare una motivazione sentimentale in una serie di crimini che vanno dallo stalking pesante, all’aggressione fisica, allo stupro punitivo, al tentato omicidio e infine alle stragi familiari.

Anche per il signore anziano che ha ammazzato due fratelli e la moglie si è usato il termine “gelosia”. Una donna uccisa dopo aver vissuto una vita di maltrattamenti. Una signora anziana, una madre di famiglia, che l’uomo ha fatto inginocchiare sparandole come in una esecuzione mafiosa.

Appena ieri scrivevo del fatto che la violenza maschile è una costruzione culturale e invitavo ciascun@ di voi a segnalare articoli in cui in qualche modo si traevano conclusioni ricche di giustificazioni per gli assassini che addirittura spesso finiscono per criminalizzare le vittime. Perchè è nella costruzione della cultura che legittima e giustifica gli assassini che risiede innanzitutto lo strumento attraverso il quale essi trovano comunque “comprensione”.

Lo vediamo anche nei film, in cui è il poliziotto che ascolta coinvolto la storia di chi ha ammazzato la moglie, quasi che in quel caso fosse dispiaciuto di compiere il “suo dovere” e di mettergli le manette.

Perchè titoli di questo genere, che noi lo vogliamo o no, diventano anche educativi per tutte noi. Ci insegnano a stare al “nostro posto”, a temere le conseguenze di azioni che neppure sapremmo spiegare.

Provate a parlare con una ragazza media di una qualunque città e vi dirà che quando lui l’ha presa a sberle perchè un tizio le si è avvicinata ha fatto bene. Ed è un gioco di ossessioni e possessività che trova sempre parole inadeguate. Perchè il tizio che le molla la sberla alla fine immaginerà di trovare comprensione concludendo con un “ti amo”.

Così abbiamo imparato che l’amore viaggia assieme alle sberle e alla gelosia. Ce lo insegna la cultura machista che mai e poi mai ci rivelerà che possessività e violenza sono tutt’altro che amore. Si chiama egoismo, compulsività, ossessione, dominio, vincolo di proprietà come per qualunque altro oggetto che appartenga ad un uomo.

Ogni volta che uno strumento di informazione chiama questi delitti “passionali” tirando in ballo la “gelosia” compie una mistificazione e reitera una modalità della comunicazione che ancora educa, esige solidarietà per l’assassino, chiede un coinvolgimento con il criminale e dimentica volutamente di indagare le ragioni della vittima, il perchè l’ha lasciato, come è possibile che abbia preferito rifarsi una vita, scegliere un altro compagno, continuare il suo percorso in una dimensione fatta di futuro e non di vendette coltivate nella miserabile idea di poter riaggiustare i conti con il passato.

La parola “gelosia”, e chiunque si occupa di comunicazione lo sa, rimanda inequivocabilmente a quello che suscita. E’ pedagogicamente diretta a creare un processo di identificazione. Sollecita la parte più bieca che insiste dentro ciascuno di voi, il vostro machismo (e parlo con gli uomini), ricordandovi da che parte stare. Vi dice che anche voi, un giorno, chissà, per gli stessi motivi. Perchè quella parola assume un significato diverso a seconda delle circostanze e i media confondono le acque e la usano tanto per le ferite di un bambino che ha difficoltà a spartire l’amore di sua madre con un fratellino piccolo quando per la dimensione psicotica di un uomo che immagina di poter fare della sua donna quello che vuole.

E’ una parola con la quale ci hanno insegnato a familiarizzare.  Ce la cantano nelle canzoni, ce la raccontano nei romanzi, ce la fotografano nelle riviste di gossip. E si divertono a dire frasi fatte come “un po’ di gelosia è giusta, troppo fa male” come se si trattasse di un ingrediente per condire il maiale a forno. Sciocchezze che ci vengono propinate fin da bambine, perfino quando un padre ci vieta di uscire o di crescere e diventare piccole donne e c’è una madre in qualche modo connivente che ci spiega che lui ti priva della libertà, ti controlla e ti opprime perchè è “geloso”. Te lo dice come fosse una lusinga, una dimostrazione di affetto.

Ed è quello che vi dirà anche il fidanzato che vi ossessiona con mille telefonate perchè non può fare a meno di sentire la vostra voce, perchè se non fosse geloso allora vorrebbe dire che non vi vuole bene, perchè non vive senza di voi, e giù con le prevaricazioni e tutto quello che compone la dimensione dell’uomo insicuro che ha bisogno di controllarvi per contenere le sue ansie e per affrontare anche una relazione.

E siamo ancora nella fase preliminare, quella in cui potrete conoscere la vostra sorte prima ancora che un uomo vi trafigga il cuore con una coltellata, perchè gli ossessivi, psicotici, li vedi dal principio e puoi evitarli se ne comprendi appieno la natura.

Un uomo non diventa mai violento perchè la donna è stata cattiva. Un uomo era già violento prima di diventare violento. Era già ossessivo, molesto, aggressivo, prepotente, prima ancora di manifestare la degenerazione ultima di queste caratteristiche.

Ma a prescindere da questo, sempre che si voglia parlare dell’argomento seriamente senza dare l’impressione che un pochino di follia va bene ma troppo invece no, sempre che non si voglia dare la perenne impressione che in questa società siano le donne, ed è quello che sono, quelle a cui è delegato il ruolo di contenimento delle psicosi e di tutti i disagi personali degli uomini, ruolo che se rifiutato per riprendersi la propria vita, a quelle donne viene destinata la colpevolizzazione, l’assenza di solidarietà sociale, il totale abbandono che corrisponde con lo stesso trattamento riservato a chi diserta… a prescindere da questo, dicevo, chi si occupa di comunicazione ha il DOVERE di cercare parole nuove che rappresentino una reale solidarietà con le vittime e una presa di distanza dalle eterne ragioni degli assassini.

Perchè non si può continuare per secoli a dire che tutto ciò accade per caso quando invece accade in effetti ogni giorno. Non si può proprio spiegare il perchè i media non trovino un modo antisessista, non misogino, per descrivere quello che avviene.

L’italiano, ex carabiniere, armato di fucile che entra dentro un qualunque posto per compiere la sua personale vendetta, si chiama semplicemente assassino. Le ragioni restano immutabili e non possono variare a seconda dell’identità della vittima.

Di fatto gli uomini che ammazzano le donne e tutti quelli che stanno loro attorno si comportano come farebbe qualunque mafioso. Puniscono chi esce fuori dal clan. Dal loro regime di controllo. Dalla loro tossica dimensione proprietaria delle relazioni. E come tale vanno trattati. Perchè l’incidenza di questi delitti nella società è altissima. Perchè gli uomini che ammazzano le donne, e assieme a loro altri parenti, nuovi compagni, figli, sono dei criminali che producono più vittime di qualunque altra forma di criminalità. Perchè le donne hanno il sacrosanto diritto di sopravvivere, di non essere terrorizzate, ricattate nelle scelte personali, di non vedersi sterminare la famiglia senza lasciarsi affliggere perfino dal senso di colpa per aver permesso ad un assassino di entrare nelle loro vite.

Si chiama terrorismo, ed è un linguaggio trasversale, che colpisce tutti. Ogni volta che viene ammazzato un nuovo compagno di una donna che ha osato lasciare un assassino si lancia un ulteriore monito a tutti gli altri uomini. Quella donna non si tocca. Quella donna è mia. Gli uomini che osano avere storie con donne che hanno un ex alle spalle faranno quella brutta fine. Le persone che si metteranno in mezzo per aiutare quella donna a lasciarli moriranno.

Ed è un monito anche per le donne. Un eccesso di responsabilizzazione che finisce per penalizzare le donne che saranno condannate alla solitudine per paura di coinvolgere qualcuno che potrebbe essere ammazzato dall’ex.

E ancora, dopo tutto questo, c’è chi si permette impunemente di scrivere la parola “gelosia” dopo stragi di questo genere?

Allora non facciano i giornalisti. Non si occupino di comunicazione. Vadano a scrivere romanzetti rosa e lascino la comunicazione a chi sa esserne responsabile e a chi sa quali implicazioni abbiano tutte le parole che userà.

La parola “gelosia” va dunque bandita in questi contesti.

Compito della settimana: contate quante volte quella parola viene usata per riferirsi a violenze contro le donne. E poi diteci se questo è ammissibile.

—>>>Bollettino di Guerra

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.


5 Responses

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  1. tiziana iocolano says

    dovremmo riformattare il ns pensiero, mi spiego meglio, dal momenti che il pensiero è il nostro linguaggio, dovremmo cominciare a pensare diversamente e a capire il significato semantico della parola, gelosia significa dimora: il posto in cui io sto bene…in questi casi nn si tratta per nulla di benessere ma tuytt’altro…

  2. Stella says

    Bellissimo pezzo, sono d’accordo su tutto!

  3. exercise says

    gelosia sì, purtroppo! nel senso che quest’ “uomo” non accetta che la donna, l’oggettino di sua proprietà, non sia come vuole lui. e per quanta abnegazione una poveretta ci possa mettere, mai sarà come vuole lui!! ancor più se lei lo lascia…
    mi sento così fortunata che nei rapporti che ho avuto finora non ci sia mai stata nemmeno un po’ di gelosia (e non vedo perchè dovrebbe passare come segno di attenzione e amore… se amiuna persoan non diventi il suo carceriere)

  4. Mary says

    Beh si lo fanno x gelosia anche..Ma la gelosia non è amore…la gelosia è possesso..la gelosia la si deve avere sugli oggetti e non sulle persone..le persone non sono cose e non sono proprietà…Diciamo che la gelosia nasce per il concetto di donna che si ha in una cultura…dove la donna è considerata una proprietà dell’uomo….la gelosia centra eccome….e non è amore..
    Il problema è che i media fanno passare la gelosia come fosse amore..ma invece non lo è xke chi è geloso considera le donne come oggetti. Bisognerebbe cambiare il concetto di gelosia. la gelosia non ci deve essere figuriamoci con una ex…il problema principale è che siamo nel 2011 e ancora le donne non vengono lasciate libere di interrompere una storia xke vengono considerate proprietà privata. schifo!

  5. Luisa says

    I Moso che vivono in quello che comunemente si chiama ormai il paese delle donne, in Cina, praticano il visiting marriage: quando una ragazza diventa \maggiorenne\, viene costruita per lei una stanza nella casa del clan di sua madre, dove l’uomo che sceglie-se ricambia- può recarsi per la notte, ritornando la mattina al clan di sua (di lui) madre. I bambini sono del clan e la figura \paterna\ la fa il fratello della madre. Nessun diritto su quello che un’altra ha riprodotto, separazione tra amore/affetto/sessualità e riproduzione, se la relazione, come spesso avviene, si interrompe, nessuno viene ucciso per \gelosia\ sentimento deriso e biasimato dai Moso come comportamento stupido e rivelatore di personalità disturbate, deleterio per la società tutta

    Meditate donne, meditate…….