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Violenza di genere: Manuale di autodifesa

Superare ogni ragionamento securitario e giustizialista, far passare in termini culturali una immagine al femminile non vittimista e bisognosa di interventi paternalisti: questo può essere un obiettivo che tentano di darsi vari gruppi di donne e femministe che in Italia attivamente si dedicano alla questione. Si parla di zone liberate dal machismo (Macho Free ZoneSexyshock) o di diritto al reddito per acquisire autonomia e risolvere il problema della violenza a partire dalla sconfitta di una grave dipendenza: quella economica (Reddito per l'autodeterminazione – A/matrix).

Si parla di protezione sociale senza far ricorso alla reclusione (Ladyfest), di promozione – in chiave preventiva – di culture laiche e antisessiste e poi ci sono donne che fanno dei veri e propri corsi di autodifesa. C'e' il Gruppo di Autodifesa Donna Filo-Mena che si è allenato ogni settimana nella palestra del Laurentino Occupato/L38 Squat e che, allo stesso modo di altre attiviste (Autodifesa per Donne – Mai stata zitta), hanno deciso di comporre un manuale da condividere. Il Manuale del Gruppo di Autodifesa Donna Filo-Mena è alla versione "Beta" e io ve lo passo da leggere e scaricare. Buona lettura.

—>>>  autodifesa opuscolo.pdf

La mia opinione è che in
questo momento, in questa fase, è molto difficile fare a meno di un
contesto che regoli alcuni rapporti dove altrimenti perderebbe sempre
la parte più debole. Non riesco a immaginare uomini che smettono di
perseguitare una donna, che non attentino alla sua vita, che non la
uccidano o semplicemente che la lascino in pace e che si assumano le
loro responsabilità in rapporto ai figli in comune solo perchè una
donna dimostra di saper picchiare duro. L'autodifesa è una ottima arma
per salvarsi la vita in situazioni di emergenza: se un marito picchia e
lo si vuole far smettere, se uno ti stupra, se ti aggredisce. In
generale però non immagino di poter usare questo strumento come
elemento di minaccia per ottenere assunzioni di responsabilità. Non
immagino neppure di poter essere costantemente vigile e attenta,
sveglia ventiquattrore su ventiquattro per impedire a qualche folle di
coniuge o qualunque cosa sia, di finirmi a coltellate.

Io immagino di poter
tentare di difendermi, di usare la rete sociale che ho (se ce l'ho ed è
necessario che ce l'abbia perchè se il coniuge mi ha tenuta segregata è
difficile avercela) per chiedere riparo, di usare la mia indipendenza
economica (se ce l'ho. ma se non ce l'ho dove vado? ecco perchè
esistono le case per donne maltrattate dove ti aiutano a trovare un
lavoro e a consegnare alla "giustizia" il coniuge picchiatore) per non
dover mai più ricorrere al tipo che mi ha riempita di lividi, lesioni e
fratture, di usare il mio livello culturale e la mia consapevolezza (se
li ho) per uscire da una situazione di dipendenza psicologica e da un
trauma che ci si porta dietro per una vita intera, di assicurarmi poi
che la persona che mi ha fatto del male non possa mai più perseguitarmi
(perchè accade, anche dopo mesi o anni, vi assicuro che accade) o
avvicinarmi o rovinarmi la vita e togliermi la serenità in ogni modo
perchè altrimenti sarei condannata a vivere nel terrore, con un'arma a
portata di mano, mai rilassata, o con i guantoni da box sempre sui
pugni.

La domanda è: come faccio ad
assicurarmi che non succeda più? Come faccio a difendermi? La legge mi
difende? Le forze di polizia mi difendono? Mi sta bene essere difesa in
nome di una concezione patriarcale, repressiva e paternalistica? Mi sta
bene essere difesa da un sistema repressivo che disapprovo ma che
avallo e legittimo nello stesso momento in cui lo uso? Chi può regolare
i miei rapporti con il mio ex coniuge (per esempio) che magari è pure
il padre dei miei figli? Come faccio ad ottenere da lui gli alimenti
per i bambini?

E queste, purtroppo sono cose
concrete, emergenze quotidiane che capitano e non ti danno il tempo di
impuntarti in idealismi e teorie difficili da applicare sul momento. Il
problema è a mio avviso tentare di capire dove inserirsi mentre tutto ciò accade. Capire come fare per prevenire. Come fare per avere
un ruolo in un cambiamento effettivo che possa portare – in vicende
simili – a migliori e differenti conclusioni.

Perchè se le conclusioni sono
– come ho visto accadere abbastanza spesso – che amic* della vittima
decidono di fare un raid punitivo contro il picchiatore per dissuaderlo
a farlo un'altra volta o per "convincerlo" (si fa per dire) ad
assumersi certe responsabilità, io non ci vedo tanta differenza. C'e'
sempre tanto di quel machismo e di quel paternalismo in mezzo da far
accapponare la pelle (almeno a me). L'alternativa sarebbe che io devo
difendermi da sola e fare la wonder woman che incute timore solo se il
tipo mi nomina? E dove sta così la crescita culturale? Dove la
eliminazione di ruoli precotti? Come si arriva ad una soluzione non
punitiva e non securitaria dove si richiede l'uso di terzi (giudici,
polizia) per allontanare la fonte della minaccia?

Come si fa a reponsabilizzare
un individuo che pensa solo ad ammazzarti? Come lo si sollecita a
ritrovare o trovare per la prima volta un equilibrio e a "reinserirsi"
dal punto di vista sociale se l'emergenza da sopperire è quella di
salvarci la vita? Tenuto conto del fatto che il carcere non serve a
niente, che la struttura punitiva è pensata in chiave repressiva, che
una società non cresce se rimuove il problema o se risponde male a
esigenze che di fatto genera (se si coltiva il patriarcato, il
dogmatismo, il maschilismo è ovvio che vengono fuori interpreti di
mostruosità culturali in auge), la domanda è: che si fa? 

Per me è indispensabile agire
un po' su tutti i fronti per migliorare quello che c'e' e per agire in
termini culturali dove c'e' il vuoto assoluto o dove le teste sono
riempite di cazzate. E' necessaria l'autodifesa ed è indispensabile
l'azione comune con le associazioni e le case per donne maltrattate.

L'altro dubbio è: se l'individuo
è il risultato, l'essere umano conseguente alle storture del sistema
(capitalista, consumista, borghese, cattolico, di merda o come volete
voi – e questo è un ragionamento caro ai tempi di altro femminismo
quando ci si strappava la carne a morsi perchè c'era chi affermava che
uno stupratore se operaio, proletario aveva una giustificazione perchè
era schiavo del sistema… aaarrrrggghhh!), ce la prendiamo con il
sistema? L'individuo ha qualche responsabilità? Per me è fifty fifty.
Perciò l'azione secondo me va mirata in parte sul contesto sociale (a
partire da quello in cui viviamo) e in parte sugli individui (il
personale politico).

Ragionare di politica contro la violenza
di genere in contesti (facciamo finta siano i centri sociali) in cui ci
sono machi terrificanti o con compagni che non sono in grado di
rimettersi in discussione sul privato (che per me è pubblico), che non
sono in grado di ragionare di se' e della propria sessualità, del
proprio modo di concepire le relazioni (che non è imbarazzo o
riservatezza ma spesso è davvero perchè il personale e il politico sono
tenuti dovutamente a distanza e le incoerenze lì si misurano in
kilometri piuttosto che in centimetri), non è fruttuoso per la crescita
individuale e tantomeno per quella collettiva. E' un po' come un
parlarsi addosso. Un ragionare tra se' e se' nella speranza che qualche
uomo prima o poi si fermi (magari senza aspettarsi di essere riverito
perchè ha degnato una assemblea che tratta di violenza di genere della
propria presenza… o che non se ne esca con frasi generaliste dove se
si parla di uomini si parla sempre di altri che escludono i presenti e
gli amici e parenti dei presenti…) a curiosare per tirarci fuori
qualche elemento di crescita anche per se'.

Perciò mi piacerebbe nascessero dei bei Gruppi di Autocoscienza (alè – l'ho detto) di genere o post genere, come li si vuole. Mi piace l'esperienza di Maschile Plurale
e di quegli uomini che cominciano a fare una analisi del problema a
partire dalla considerazione di cosa sia, di come si consideri la mascolinità. A partire da se'.

Riassumendo: autodifesa, case per donne maltrattate
(che agiscono sulla base di una denuncia), le associazioni che si
occupano di violenza di genere, i gruppi che si occupano di politiche
del reddito per le donne (qui ci vorrebbero vere e proprie strutture
destinate solo a trovare lavoro a donne in difficoltà – sempre che il lavoro
ci sia), le giuriste
che tentano di migliorare le leggi attuali, le azioni di promozione
culturale, i gruppi di autocoscienza al maschile e al femminile.
Ciascuna di queste strategie – se vogliamo definirle così – può
permeare tutte le altre solo frequentandole, gravitandoci attorno o
dentro, mantendendo autonomia e cercando punti in comune perchè la
crescita sia collettiva e ci si possa regalare ricchezza o consegnare
critiche senza asperità e presunzioni. 

Chi arriva per ultimo,
il gruppo che porta nuove idee, spesso viene respinto al mittente (non
sempre), lo so. Succede che i vecchi gruppi di femministe spesso
gestiscono risorse e spazi. Hanno un concreto monopolio di settori
rispetto ai quali agiscono seguendo un orientamento che difficilmente
si lascia contaminare. Hanno la quasi totale egemonia in campo
editoriale o tra le pagine degli strumenti dell'informazione che
trattano di questi temi. C'e' poi l'altro aspetto: le donne di partito
rispondono solo al partito e difficilmente si lasciano sfuggire
l'occasione di cavalcare iniziative o di pilotarle in nome del simbolo
che rappresentano. Ci sono molti problemi (di cui io discuto spesso
anche tra le pagine di questo blog) ma noi siamo in grado di prenderci
spazi e inventarci nuovi strumenti. Non è un ragionamento vittimista.

E' solo un inventario realista
delle possibilità di azione politica. Noi possiamo inventarci altri
strumenti e opporre l'autogestione dove altre gestiscono i
finanziamenti pubblici. O possiamo cercare finanziamenti o forme di
sussistenza (perchè di autogestione non si finisca per morire e per
fare morire una bella idea) per continuare una lotta che richiede
l'apporto di tutt*. Tutto ciò è importante ed è necessario che vi sia
la consapevolezza che tutt* concorrono/concorriamo per raggiungere lo
stesso obiettivo. Che in questo momento le une senza le altre o gli
altri sarebbero solo la parte monca, mutilata di una battaglia che
richiede più strumenti, più corpi e più menti. Il corpo e la mente di
cui io dispongo sono a disposizione! 🙂 

Posted in Corpi, Fem/Activism.


2 Responses

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  1. FikaSicula says

    Io ho imparato a frequentare l’autodifesa e so che da’ una grande sicurezza. Cioè: ti può insegnare – in termini preventivi – a essere meno insicura e perciò vulnerabile. A essere meno soggetta alla dipendenza da rapporti patologici e malati (ma questo è e resta una cosa soggettiva e dipende da molti altri fattori) e quindi a indirizzare la scelta di un partner verso chi pensi di meritarti per davvero, una persona migliore che non ti deve fare del male altrimenti aria, via, fine. I masochismi si possono affrontare anche così. Ma io parlo di relazioni, convivenze, zzitamenti, matrimoni. E risolto il problema della sicurezza, dell’autostima, poi però si utilizzano tutti gli strumenti disponibili sul territorio perchè la sicurezza non basta ad andare avanti, sopravvivere e mantenere i figli. Ne’ credo sia sufficiente a far demordere un marito geloso, incazzato o chissà cosa dal pensiero di molestarti e farti male. Rispetto alle risposte a qualche aggressione esterna penso di si, di essere d’accordo con te. L’autodifesa ti può dare una chance per sentirti al sicuro anche quando torni a casa sola e a piedi alle tre di notte. Io però non sono stata spesso testimone di situazioni del genere. Io mi sono trovata più spesso con amiche massacrate dai loro ragazzi. Con mogli quasi morte per mano dei loro mariti, con ragazze stuprate per mano degli ex o per mano di persone che comunque conoscevano. Quindi il problema è complesso e duplice. C’e’ il bisogno di sentirsi al sicuro fuori casa ma c’e’ anche la necessità di assicurarsi che tra gli affetti e quindi dentro casa non vi siano persone che possono farci del male. E in quel caso è molto più difficile, in termini psicologici, capire dove sta l’aggressione e chi sia l’aggredito. Chi ci aggredisce dentro casa non è quasi mai un mostro e non lo si distingue così nitidamente come certa stampa e informazione vorrebbero farci credere. Spesso è una persona fragile, disperata, che soffre una perdita, che non sa elaborare un lutto. Spesso è una persona debole, morbosa e patologica, irascibile, aggressiva e violenta che cerca qualunque scusa per metterti le mani addosso e poi te ne imputa la causa. Sono persone che se buttate in carcere non vengono aiutate ad assumersi nessuna responsabilità e a crescere e questo per la crescita collettiva di una società non va per niente bene. Spesso la violenza è condita di un pressante e articolato lavoro di sottrazione di fiducia, legami, sicurezza a tal punto che quando il lui picchiatore e molestatore ci fa del male noi non ce ne rendiamo neppure conto. E per riconoscere i livelli di molestia ci vuole molto di più di un corso di autodifesa. Infatti mi piacerebbe sapere chi sono le donne che frequentano questi corsi. Se persone che hanno superato alcune fasi di elaborazione del trauma o persone in pieno trauma. Per quello che ha riguardato donne che conosco il corso è venuto dopo l’assunzione di consapevolezza e non prima. E il corso è venuto perchè esisteva anche la rete amicale e la consapevolezza – in termini culturali e personali – di quanto era accaduto. Oppure ho visto donne che frequentavano il corso senza aver mai ricevuto un trauma personale e quindi con livelli di sicurezza e consapevolezza individuale già buoni. Perciò dico che secondo me è necessario che ogni parte concorra verso lo stesso obiettivo e che si impari a non escludere qualunque soluzione per stare bene e farsi del bene. Ciascuna di queste parti (chi fa autodifesa, chi fa altro) è fondamentale.

  2. restodelmondo says

    Io non ho mai frequentato corsi di autodifesa, ma (anche guardando un’amica e delle conoscenti che hanno praticato arti marziali) penso che mi darebbe una sicurezza in più – e non solo nel caso un pirla voglia violentarmi/aggredirmi/borseggiarmi: se devo preoccuparmi di meno a prendere un autobus alle undici e mezzo di sera, sono una donna meno dipendente da altr* (tendenzialmente maschi, al dunque), posso fare più cose (imparare di più, vedere più mondo), e soprattutto ho una coscienza del mio corpo come non-debole (o meno debole). Detto niente.

    Poi, ovvio, c’è anche l’atteggiamento – per cui penso l’autodifesa aiuti ma non sia necessaria: quell’aria che hanno le ragazze tedesche (o londinesi, o americane o – altre, credo, la mia esperienza si ferma qui) di “ovviamente io sono una cittadina con una dignità e dei diritti, e ovviamente nessuno si sogna di aggredirmi – e, se non bastasse questo a spaventare il maschio che vuol farsi forte, potrei avere una chiave inglese in borsetta e nessuna fisima da ‘fanciullina timorosa’ ad usarla”.